TRAMA
Írisz Leiter, una giovane modista, arriva a Budapest per cercare di scoprire cosa si nasconde dietro la morte dei suoi genitori e che cosa nasconde il nuovo proprietario della casa di moda un tempo appartenuta alla sua famiglia.
RECENSIONI
Un tempo si diceva che per un regista l'opera seconda è la più difficile, specie se la prima ha avuto successo. Questo assunto sembra pensato apposta per László Nemes, il regista ungherese che nel 2015 con Il figlio di Saul ha conosciuto un successo unanime, iniziato col Gran Premio della Giuria di Cannes e culminato con l'Oscar come Miglior Film Straniero. Quando abbiamo conosciuto un successo simile non è facile riproporsi al giudizio del pubblico, e Nemes a questo importante test si è presentato con un film in costume misterioso e spiazzante. Realizzato grazie al contribuito dell''Hungarian National Film Fund (che in questi anni in cui la direzione era affidata al recentemente scomparso Andrew G. Vajna ha dato un contributo fondamentale all'affermazione internazionale del cinema magiaro) e presentato, purtroppo senza particolare fortuna, all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, Tramonto, scritto dal regista insieme a Clara Royer e Matthieu Taponier, è ambientato nel 1913 e racconta la storia di Iris Leiter, una giovane aspirante modista che arriva a Budapest nella speranza di trovare lavoro nella rinomata casa di moda un tempo appartenuta ai suoi genitori, rinomata per gli elegantissimi cappelli da signora realizzati.
La capitale ungherese è descritta come una metropoli in fibrillazione ma anche sfuggente, periferia ma al tempo stesso centro nevralgico di un impero in declino, in cui si respirano ancora le ansie di fine secolo, mescolate forse a quelle della prossima futura Grande Guerra, così come quelle dei fantasmi che segneranno da subito la storia europea novecentesca. Ma ci sono anche altri fantasmi a popolare la Budapest descritta in Napszállta, a partire da quelli del cinema di Anatole Litvak, Max Ophuls e Stanley Kubrick (Eyes Wide Shut soprattutto, ma la ripresa finale è più che un omaggio ad Orizzonti di gloria e non solo perché anche questo film finisce, diciamo così, in trincea), registi che sentivano vicinissima alle loro sensibilità la grande stagione della letteratura mitteleuropea di inizio secolo, Roth, Schnitzler e Zweig in particolare.
Come nella sua acclamata opera d'esordio lo spettatore era chiamato a seguire l'odissea del Sonderkommando Saul, proposta rispettando quasi rigorosamente unità di luogo, tempo e azione, stavolta Nemes ci invita a seguire il girovagare di Irisz Leiter (l'emergente Julie Jakkab, che nel film precedente aveva un piccolo ma importante ruolo e qui è invece onnipresente), che cerca di capire cosa è successo alla sua famiglia. I genitori sono morti in un incendio, il fratello maggiore è scomparso e la ditta di famiglia adesso è gestita da altri. Iris era solo una bambina quando ha perso i genitori, ha vissuto fra Vienna e Trieste, e solo adesso torna nella sua città d'origine. Il nuovo proprietario della Casa Leiter, lo sfuggente Brill (l'attore rumeno Vlad Ivanov, mai dimenticata la sua partecipazione a 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Cristian Mungiu) e la sua collaboratrice Zelma (Evelin Dobos), accolgono Iris con cortesia, pur non nascondendo nei suoi confronti una certa diffidenza. Anche perché, nonostante le ripetute dissuasioni, lei è convinta a voler scoprire cosa è successo realmente ai suoi cari, oltre a ritrovare il fratello (il polacco Marcin Czarnik), nel frattempo diventato il capo di una banda di anarchici decisi a colpire proprio nei giorni in cui a Budapest è prevista la visita dell'arciduca.
“L'ungherese è una lingua magnifica” veniva affermato nel Figlio di Saul da un ufficiale nazista, e Tramonto è anche la celebrazione della città che è stata capitale culturale nonostante facesse parte di un impero dove si parlava prevalentemente tedesco. La visita della nobiltà austriaca è anche l'occasione da parte della protagonista, sorta di Neon Demon toccata da molte disavventure senza esserne mai sopraffatta, di scoprire che abitualmente delle ragazze che lavorano per Brill vengono poi invitate a Vienna, forse per essere impiegate a corte, forse per ragioni decisamente più sordide.
Nemes conferma quello che ormai può essere considerato il suo stile: lunghe sequenze, la tendenza a tenere quasi sempre in primo (e primissimo) piano il personaggio principale, atmosfere sospese. Rispetto al Figlio di Saul il ritmo è forse più cadenzato e senz'altro il viaggio della protagonista alla ricerca del proprio passato può costituire uno spunto meno forte rispetto al film d'esordio dedicato al tema della Shoah, ma sarebbe un errore considerare questo nuovo film un'opera minore, solo perché meno acclamata e con meno riconoscimenti nel proprio medagliere (fattori che comunque sicuramente hanno influito sui risultati al botteghino non entusiasmanti).
Tramonto è un'opera che può vantare contributi eccellenti come quelli del direttore della fotografia Mátyás Erdély, dello scenografo Laszlo Rajik e del costumista Gyorgyi Szakacs, cui si devono i bellissimi modelli sfoggiati dalle attrici. Ma soprattutto è un film molto affascinante; ancora una volta la storia europea è utilizzata in chiave simbolica e se i misteri che animano la vicenda non si chiariscono definitivamente non è neanche giusto, come è stato scritto da qualcuno, considerare la natura, diciamo così, sfuggente di Tramonto come il segno della sua debolezza (ma sul fatto che diversa critica giudichi il lavoro di un regista in base ad una presunta mancanza di chiarezza il discorso sarebbe lungo, specie considerato che molto cinema d'autore registi non è costituito da film plot oriented). Tornando alle considerazioni iniziali László Nemes ha superato, almeno artisticamente parlando, bene la sfida dell'opera seconda; ora sarà interessante scoprire dove la sua voglia di raccontare ci porterà la prossima volta.