
Apeshit (The Carters)
diretto da Ricky Saiz
Si passeggia tra le opere d’arte del Louvre sottintendendo (urlando?) che opere d’arte sono anche loro, i coniugi Carter, Jay Z e Beyoncé pervenuti al disco matrimoniale. Per questo lui e (soprattutto) lei, di fronte alla Monna Lisa sono statuari e di movimenti contenutissimi a dispetto delle super performance cui ci hanno abituati (manca solo il piedistallo).
Al di là dei discorsi celebrativi (la coppia, espressione dell’eccellenza nera nel tempio dell’arte bianca, colonizza i colonizzatori) e delle autocitazioni provinciali (la famosa foto dei due davanti alla Gioconda, Napoleone che incorona Giuseppina…), il video parla letteralmente di quel che vediamo: cioè dei Carter che, tronfi, girano al Louvre il loro clip (ci hanno provato anche col Colosseo) e usano la location come credono opportuno, anche nel modo più prevedibile (Be che danza sotto la Nike di Samotracia: il bianco fa pendant con – il concetto de – La Vittoria).
Splendidamente congegnato sul piano visivo e perfettamente integrato al discorso musicale, propone argutamente anche quella esterna al Louvre come dimensione parallelamente citazionista dei reperti museali (ogni sipario richiama un’opera e viceversa, nulla è casuale): Apeshit si propone così come testo stratificato, pronto a svelare, a ogni visione, qualche nuovo significato. Valori aggiunti: la fulgida fotografia di Benoît Debie e le coreografie sempre maestose di Sibi Labi Cherkaoui.
Sovrastimato? Probabile, e certamente non nuovo, basta dare un’occhiata alle riviste di moda. Però c’è un però. I Carter sono un brand, e pure di tendenza, e Ricky Saiz, oltre che designer e filmmaker, è anche un abile pubblicitario, già collaboratore di Kanye West (il video lo attesta in modo evidente: l’uso beecroftiano del corpo femminile in tenuta minimal in dialogo con lo spazio espositivo). In quest’ottica il video è strategicamente perfetto. Ed è consolante constatare come la questione sia risolta in modo sì spavaldamente eclatante, ma lontani dalla pallosissima narrazione autoreferenziale del ménage in crisi di un Family Feud (mattonata diretta da Ava DuVernay), la magniloquente monumentalità del Lemonade beyonceiano o la boria artistoide di alcuni fuffosi clip di Jay Z per 4:44 (ma chi li ha visti più, poi).
In ogni caso neoclassicismo e pastiche post-postmoderno in clip, nel 2018, passano di qui.
Vedi anche Videostar, FilmTv n.26/2018