Drammatico

MUSEO

Titolo OriginaleMuseo
NazioneMessico
Anno Produzione2018
Durata128'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio

TRAMA

Natale 1985. Gli eterni studenti Juan Nuñez e Benjamín Wilson vogliono il riscatto: decidono di rubare i reperti Maya, Mixtechi e Zapotechi al Museo nazionale di antropologia di Città del Messico.

RECENSIONI

«Questa storia è una replica dell’originale». Alonso Ruizpalacios riscrive il furto del 1985 e continua a inscenare la Storia messicana modellandola in forma di metafora. Sulla possibilità di rispetto del fatto, apre la didascalia iniziale e chiude la battuta finale: «Perché rovinare una bella storia dicendo la verità?». La posizione è chiara: siamo nella zona del tradimento dell’evento, avvenuto sì, ma rimesso in scena e manovrato in modo strategico per assumere una dimensione significativa sullo stato di un Paese, ieri come di oggi. In tal senso Museo costituisce un dittico col precedente Güeros: lì la protesta studentesca del 1999 dirazzava nella ricerca del mitico cantautore Epigmenio Cruz, in un diverso movimento per poi tornare a quello universitario; qui il gesto di Juan Nuñez, fuoricorso e aspirante fallito, lancia una sfida sullo scopo di sé alla rincorsa della redenzione personale, e allo stesso tempo apre un interrogativo sulla Storia nella riaffermazione collettiva della memoria del Messico. Nel bislacco heist movie il giovane incosciente cambia solo travestimento: da veterinario indietro con gli esami, sbeffeggiato in famiglia, prima si veste da Babbo Natale e poi da ladro eseguendo, con l’amico Benjamin, un insospettabile colpo perfetto con mezzi da bricolage gondryano (chiodi, acqua, fili elettrici). In una sequenza di coreografia muta, musicata solo dai rumori, i due rubano la Storia. Le teche si aprono. Quei reperti sono la “materia dei sogni”? Non proprio, perché dopo l’impresa Juan viene condannato dal padre, come sempre, e in più dal mondo intorno. Museo diviene quindi il percorso di due spiantati che cercano il riscatto e non lo trovano: automaticamente si converte in parabola sul fallimento, in una catarsi voluta che nei fatti non è possibile. Juan e Benjamin, da inetti, diventano ladri di Storia, terroristi anti-Stato.

Ma poi qualcosa cambia. Prima Juan non capisce la Storia, neanche la sfiora, non le accorda alcun ruolo al contrario degli anziani. Dopo, trovandosela in mano, la tocca e inizia a prendere coscienza: non vuole venderla a stranieri, al collezionista-cannibale che assaggia la maschera, perché il contatto con gli oggetti fa un effetto, concreta l’astratto, e così egli respinge il cinismo espositivo («Non c’è collezione senza saccheggio») e gradualmente si porta dalla sottrazione alla conservazione. Ruba ma vuole preservare. Qui sta la contraddizione: del personaggio, del racconto, dello Stato. La muerte es nuestra eterna compañera, recita la filastrocca sulla cultura della morte, e così anche la Storia: mentre Juan lo realizza il furto lo mette in scacco, i due non possono vendere la refurtiva ma sono costretti a scappare. «Giriamo a vuoto per un po’», si dicono, in un movimento idiota che porta a ubriacarsi in una coppa maya, a giocare con gli oggetti sulla sabbia. Intanto il Museo nazionale tocca il picco delle visite: turisti si affollano per vedere vetrine vuote. Copie degli originali, meno vere del vero ma più attraenti perché il vero è stato rubato.
Museo è il tassello che conferma il limite maggiore nel cinema di Ruizpalacios: la tendenza a dire, la scelta dell’esplicito. Di nuovo il racconto, attraverso il dialogo diegetico o la voce fuori campo, specifica i suoi messaggi: nessuno apprezza quello che ha finché non lo perde, e dunque il furto viene risemantizzato a fin di bene, per costruire una nuova attenzione verso la Storia. Dall’altra parte, però, in questa parabola chiara al limite del banale resta qualcosa che sfugge, un pezzo fuori catalogo. Cos’è davvero la Storia? Quale uso è opportuno farne? Chiuderla nei musei o portarla in giro? Juan posa la maschera originale sopra la teca della copia: moltiplicare, dare aria, nascondere per far vedere e forse riconsiderare. Servirà o è uno stupido reato? Chissà, la Storia sfugge agli uomini, è meno definita di loro, e in questa impalpabilità si trova un brandello di senso.

Migliore sceneggiatura alla Berlinale 2018.