TRAMA
Da 40 anni Laurie Strode si prepara per il ritorno di Michael Myers, lo psicopatico che ha massacrato i suoi amici durante la notte di Halloween del 1978. E per tutti quegli anni Laurie è rimasta chiusa in casa, imponendo la stessa reclusione anche alla figlia Karen, con l’intento di proteggerla dall’inevitabile ricomparsa del mostro. Quando Myers viene trasferito dall’ospedale psichiatrico di Smith’s Grove le paure di Laurie si rivelano fondate: il prigioniero infatti trova il modo di scappare e naturalmente si reca ad Haddonfield in cerca dell’unica preda sfuggitagli nel ’78.
RECENSIONI
Halloween è una tipica, e già obsoleta, operazione post-postmoderna. Fin dal titolo, si presenta come una perfetta riproposizione del film di Carpenter del 1978 ma non si tratta, in realtà, di un remake. Tecnicamente, è un sequel con tutti i crismi nostalgici dell’omaggio e un pizzico di educata arroganza, visto che azzera la continuity e finge che in questi 40 anni non ci siano stati altri Halloween(s) all’infuori dell’Originale. Si riparte da lì, quindi, da Michael Myers, che ha di nuovo il volto (invisibile) di Nick Castle, e da Laurie Strode, ovviamente Jamie Lee Curtis. La sceneggiatura non aggiunge nulla a quello che sappiamo già, e fa bene. L’edificazione di un background ex post finisce sempre per nuocere ai personaggi ormai assurti allo Status di Mito – basti citare Halloween II di Rob Zombie, col suo excursus sull’infanzia difficile di Michael che finiva per sabotarne il fascino misterioso -.
Con la logica del tempo diegetico che coincide con quello reale (c’è un’ellissi di 40 anni, dentro e fuori dal cinema), il Racconto e la Storia saltano dal 1978 al 2018, con Myers silente, latente, ancora internato e Laurie che aspetta il suo ritorno. Che si verifica puntual(ment)e, dopo un prologo un po’ divergente rispetto agli slasher classici, visto che alla costruzione dei personaggi viene concesso uno spazio narrativo non trascurabile. Ma poi arriva la notte di Halloween e il sequel diventa un quasi remake, inaugurato da un piano sequenza molto elegante ma-non-solo, visto che contiene e condensa molte sfaccettature di Michael Myers, Malvagio Assoluto privo di moventi e motivazioni che però ci tiene a mantenere un proprio fascino/appeal nei confronti dello spettatore, evitando di spingersi troppo oltre (risparmia i bambini).
In verità, il film di David Gordon Green a un certo punto sembra smarrirsi, adagiandosi sul pilota automatico della ripetizione/riproposizione (a più livelli) ma si riaccende nell’ultima parte, improbabile da un punto di vista strettamente narrativo (la Casa-Trappola elaborata da Laurie e la sua efficacia affidata a troppe variabili) ma interessante ed equilibrato per come riesce a magnificare il personaggio di Jamie Lee Curtis senza ridimensionare Michael. Che comunque, dopo i titoli di coda, respira ancora.