TRAMA
Nathalie Pêcheux è una professoressa di lettere divorziata, cinquantenne in ottima forma e madre premurosa finché non scivola verso una gelosia malata. Se la sua prima vittima è la figlia di diciotto anni, Mathilde, incantevole ballerina di danza classica, il suo campo d’azione poi si estende ai suoi amici, ai suoi colleghi, fino ai suoi vicini di casa.
RECENSIONI
Il cinema francese medio - che continua a rimestare nella borghesia, a ironizzare sui suoi piccoli grandi drammi - ripropone, pochissimo tempo dopo 50 primavere di Blandine Lenoir, un nuovo ritratto al femminile sulla crisi di mezza età. Il complicato mondo di Nathalie, brutto titolo italiano (l’originale è il ben più pregnante e ambiguo Jalouse), ha però, rispetto al precedente citato, tutt’altro piglio.
Dopo un’introduzione brillante che, anche prendendo di mira certi status, ironizza sulle nevrosi di una donna che patisce il confronto con le nuove generazioni, il film ha il coraggio di virare, dipingendo un personaggio antipatico, insopportabile nel suo egocentrismo, nella sua completa indifferenza per l’altro. Se inizialmente anche l’esasperazione di questi aspetti sembra servire la commedia (si spinge l’acceleratore della paranoia e del complottismo, tanto da portare il personaggio ai margini della maschera), una volta esperite le possibilità umoristiche, si fa insinuare nella resa della protagonista la realistica (e dunque drammatica) constatazione di un malessere. Nathalie - sfasata, incontrollabile - sta davvero male, distrugge le certezze della sua vita, diventa una scheggia impazzita. E scardina anche qualche schema di ipocrisia borghese se, come si sospetta, il tradimento subito dall’amica è vero e la versione che viene poi fornita a Nathalie - la fantomatica cugina - un bel paravento per salvare le apparenze.
Insomma il film (un po’ come nel precedente dei registi, La délicatesse - anche lì la protagonista si chiamava Nathalie - ) riesce a passare dalla farsa bobo alla malinconica (persino inquietante) cronaca di una fragilità esistenziale, inscritta in un ambiente abitato da personaggi secondari che fanno da sponda, a volte fin troppo puntuale. E deve molto alla sottile prestazione di Karin Viard, molto brava nel modulare i differenti toni di un carattere che si muove in difficile equilibrio, senza cascare mai nella macchietta.