TRAMA
Un giocatore d’azzardo ruba cavallo e fucile ad un agricoltore con figlio: la sua donna decide di restare con quest’ultimi. Per sfuggire agli indiani, salgono su di una zattera in mezzo alle rapide.
RECENSIONI
“Il fiume del non ritorno” è il nome dato dai pellerossa al vero protagonista dell’opera, foriero di pericoli: a seguire, ci sono i paesaggi, il technicolor e Marilyn Monroe. Se il soggetto si adatta a fare da veicolo divistico a quest’ultima, lasciandola cantare più volte, la messinscena e le immagini fanno da “zattera” al cinemascope: il fiume è come un serpente e il formato, a detta anche di Fritz Lang, non può che valorizzarlo. Tutto, in quest’opera, è strumentale a qualcos’altro, nella rincorsa alla spettacolarità in cui la poca sostanza non è in grado di valorizzare gli interpreti. Sì, ci sono morale ed allegoria: per la prima, nel finale, il figlio ripercorre le orme del padre e scopre l’empatia, perché nel braccio di ferro fra saggi e fannulloni, fra valori e denaro, vincono i primi termini; per la seconda, il “non ritorno” è anche quello del personaggio di Robert Mitchum, ossessionato dalla vendetta. Ma in pochi, fra gli autori, pensano al “film” nel suo complesso e gli ingredienti valgono più della pietanza: c’è la simpatia di Mitchum che, quando (sempre) interpreta il duro inespressivo, è adorabile; c’è l’erotismo (sempre) audace di Otto Preminger che indulge sui larghi spacchi dei vestiti da “saloon” della Monroe (calze a rete e corsetto rosso compresi), ogni tanto la “bagna” con l’acqua e raggiunge il culmine nella scena in cui si fa massaggiare nuda sotto la coperta. Senza contare la scena in cui Mitchum quasi la violenta, emblematica, però, dello scollamento di tutta la drammaturgia: è priva di senso, non possiede antefatti che la giustifichino né crea le dovute conseguenze, è senza radice e frutti. Preso ad ammiccare al pubblico con la trinità azione + sesso + famiglia, Preminger (al suo primo e unico western, che western infatti non è) riduce anche l’amato melodramma ad uno stanco cliché, nel disegno dei caratteri e nella progettazione delle loro interazioni. Marilyn disprezzava il ruolo e non sopportava il dispotico regista che, dal canto suo, girò il film su commissione e lamentò sempre i rapporti sul set con la diva. I risultati si vedono.
