TRAMA
Dempsey è un cowboy che fugge dal Texas e dalle sue logiche di filo spinato per delimitare le proprietà. Prende sotto la sua ala un ragazzo e, insieme, lavorano per una donna calcolatrice e venale proprietaria di diecimila bovini.
RECENSIONI
King Vidor ha un modo del tutto personale di confezionare opere al contempo ‘classiche’ e anomale: in questo caso, consegna al genere western, dopo Duello al Sole di David O. Selznick, un altro film ‘irregolare’, incentrato sul tema prediletto dell’individuo libero che lotta contro ogni tipo di barriera. La pellicola, da un lato, soffre del brutale accostamento di registro scanzonato e tragico/tormentato, in passaggi spesso senza soluzione di continuità e, dall’altro, beneficia dell’assolo di Kirk Douglas (anche produttore), in una delle sue prove più adrenaliniche e sorprendenti, non foss’altro che fa anche il giocoliere con le pistole e canta suonando il banjo. La prima parte si concentra sulla contrapposizione adulto/giovane temprato/pivello, con la matricola del caso interpretata da un William Campbell che, pur avendo solo ventiquattro anni all’epoca delle riprese, ne dimostrava dieci di più risultando poco credibile per la parte. In seguito, entra in campo la femme fatale di Jeanne Crain e il film cambia volto con scene peculiari in cui la donna tiene in riga i maschioni che, d’altro canto, si scandalizzano per l’installazione in casa di un bagno. Va ancora meglio quando il testo di Borden Chase e D.D. Beauchamp, che adatta un fortunato romanzo di Dee Linford (ripreso anche dalla serie Il Virginiano e da Quando l'alba si tinge di rosso del 1968) cavalca il tema del “filo spinato” e, pian piano, abbandona certi toni ilari importuni/calcati per disquisire di capitalismo, proprietà privata e recinzioni che, allegoricamente e contemporaneamente, rappresentano la fine della libertà nel Far West e uno strumento di difesa per i più deboli. In mezzo sta “l’uomo senza stella” (il titolo italiano è fuorviante) che non ha o non ha mai voluto un faro che lo guidasse ma ci tiene a esserlo per il proprio pupillo: a seguire una tragedia greca che li vede come nemici, previ misfatti dell’arpia.