Drammatico, Recensione

VIA DA LAS VEGAS

Titolo OriginaleLeaving Las Vegas
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1995
Durata110'

TRAMA

Ben è uno scrittore che, persa famiglia e lavoro, si trasferisce a Las Vegas, deciso ad annegare nell’alcol. Conosce Sara, una prostituta che s’innamora di lui e prova inutilmente a farlo smettere di bere.

RECENSIONI

Mike Figgis abbandona le produzioni mainstream, libero di esprimere il suo cinema decadente, audace, fosco, anti-spettacolare nel contenuto e nei ritmi ma suggestivo nella forma figlia delle esperienze pubblicitarie (preziosismi nelle inquadrature, montaggi paralleli, ralenti, iperrealistico uso di luci al neon) e di uno stile personale in bilico fra il concreto e il surreale (l’onirica sequenza con Cage che beve sott’acqua), a specchio della partitura musicale di cui lui stesso è autore e che il protagonista “sente”, pur non provenendo da emittenti diegetiche (con vocalizzi di Sting, sodale dai tempi di Stormy Monday). Un cinema, di cui quest’opera è la massima espressione, capace di amalgamare l’eleganza dei finimenti della messa in immagini con l’improvvisazione tipica del jazz, che lavora sulle tracce di una sceneggiatura scritta in quattro giorni e girata in quattro settimane a basso costo: il risultato è avvolgente, con passo e sguardo che entrano sottopelle restituendo emozioni malinconiche, tragiche, affettuose. Un cinema che inchioda su pellicola l’essenza delle figure e degli interpreti, l’angelo di Shue caduto nella perdizione di Cage (premiato con l’Oscar). Sulla base delle pagine dello scrittore John O’Brien morto suicida, Figgis ricama, fra improvvisazione e tracce da saggio alla Godard (l’intervista in cui Sara racconta la sua esperienza), una struggente relazione all’insegna di Eros e Thanatos, dove la morte è più forte perché presagita ed ineluttabile, ma l’amore vince nell’accoglierla. La prostituta e l’alcolizzato si accettano per ciò che sono, senza moralismi o buonismi, in nome dello stupore per una stella alpina che cresce, unica, fra le rocce della solitudine, della diversità, dell’emarginazione, delle situazioni estreme (come quelle dipinte nel Terzo Uomo guardato in Tv). Fra musiche, fotografia e movimenti di macchina, la gradazione sensuale è alta, come sempre nel cinema di Figgis, fra perversioni sessuali esplicite ed erotismo poetico, contornata da violenza e senso dell’umorismo (cammei vari, compreso Figgis che fa pubblicità alla sua casa di produzione Red Mullet). Un canto libero, disperato e straziante, un capolavoro almeno fino alla parte finale, sottotono per certi aspetti e troppo compiaciuta per altri.