TRAMA
Ferrara: la moglie di un farmacista torna ad invaghirsi di un amore passato, stufa del marito paralitico e impotente. Instaurata la Repubblica di Salò, un gerarca fascista fa uccidere il federale della città per scatenare la vendetta delle camicie nere.
RECENSIONI
Meritato premio all’Opera Prima a Venezia, il film del ferrarese Florestano Vancini beneficia del suo passato da documentarista poetico, perché raramente s’è vista al cinema una Ferrara così triste e bella (eccellente fotografia di Carlo di Palma), nella nebbia, negli scorci di portico, nella notte resa deserta dal coprifuoco, negli sguardi sulla campagna. A livello drammaturgico c’è qualcosa del Zurlini tragico e lirico (Vancini è stato suo aiuto regista), tanto curato e di classe nella messinscena quanto disperato e malinconico nei contenuti. Il regista traspone con coinvolgimento e liberamente il racconto allegorico di Giorgio Bassani (una delle sue “cinque storie ferraresi”), dove la moglie del farmacista è la Bella Italia che vorrebbe tornare ad amare, spera nella fine della guerra, vuole lasciarsi alle spalle un uomo ormai impotente e finisce con un compagno (un popolo) vigliacco, che non vede e non sente, fugge e finisce col convivere con i propri assassini. Vancini fu veramente testimone di quella distesa di morti e rimase molto colpito dalla propria gente che si piegava e non reagiva. Inevitabile avvertire anche la “falcata” di Pasolini alla sceneggiatura, non foss’altro per i risvolti crudi, le allusioni sessuali, il disegno di personaggi viscidi ed emblematici. Se il film ha un difetto, è quello di indulgere troppo sui patemi d’amore dei due amanti ma, per il resto, conquista questa Storia vissuta attraverso la gente comune, con l’amore opposto all’odio della guerra e la guerra che s’insinua nel vissuto di tutti, stravolgendolo e rivelando la vera natura di ciascuno. La denuncia è potentissima.