TRAMA
Il diciassettenne Simon Spier ha una vita normale, una famiglia che adora e degli amici straordinari, ma custodisce un segreto: nessuno sa che è gay.
RECENSIONI
Tuo, Simon è un teen movie sul solco di quelli fondativi degli anni 80, ma epurato dalla loro sottile disillusione e complessità, intrecciandosi la sua narrazione, piuttosto, a una sintetica fibra idealistica che sottende un insegnamento. Si guardi il mondo che circonda il protagonista, un liceale che serba il segreto della sua omosessualità: famiglia solidamente borghese con genitori aperti (la madre è psicologa, figurarsi) e rapporti sereni tra i figli; ambiente scolastico discretamente sano con vicepreside tanto strambo quanto empatico e compagno di scuola ricattatore, dipinto come figura bonaria, quasi simpatica (con tanto di inevitabile riscatto finale) e in cui l’unico episodio di omofobia è risolto brillantemente sul nascere; cerchio delle amicizie composto di persone pronte a solidarizzare, oltre che comprendere e perdonare le slealtà.
Un quadro idilliaco che si presta al dispiegamento di una lezione su rispetto e pluralità nelle forme di una parabola piana, senza spigoli: non si pone il problema della reazione in famiglia (Simon dice, a ragione, che è certo della comprensione dei genitori), anzi problema non si pone affatto, perché, si suggerisce sottilmente, esso non c’è se non nei termini in cui tu decidi di portelo. In questo senso il film sdrammatizza la questione e la porta sul piano del tormento di prammatica di ogni coming of age che si rispetti (tormento che viene poco detto e che va molto intuito - lo si legge in quel poster di Elliott Smith alla parete, per esempio -). Love, Simon insomma, spicca un salto verso la normalizzazione del tema all’interno del genere di riferimento (è prodotto da una major, il che lo rende un caso a prescindere), senza peraltro cadere nella trappola della pura e semplice predica sulla tolleranza (parola orribile, sia detto): ecco per quale motivo il film è stato così apprezzato dalla comunità gay statunitense e baciato in patria da un successo clamoroso (da notare, in questo senso, il geniale claim sul poster che annunciava l’uscita del film: coming out 2018). [1]
In questa prospettiva l’unico vero dramma del protagonista è quello della privazione della possibilità di scegliere se e quando farlo il benedetto coming out (ma poco prima era stata contemplata in forma di comico videoclip - I Wanna Dance With Somebody -, ancora uno strategico alleggerimento), quasi sorvolando sul fatto che questo diritto è stato calpestato attraverso la pubblicazione di una corrispondenza privata su un social, atto non solo repellente, ma, soprattutto, di violenza incommensurabile a priori.
In un film così programmatico negli scopi e calcolato negli intenti è felice, sull’onda del romanzo di riferimento, l’espediente principale per imporre il suo precetto: l’interlocutore misterioso Blue. Blue è la porta che apre il protagonista alla volontà di confessarsi e comunicare. Di questo soggetto (che Simon sa frequentare la sua scuola), il protagonista dipinge un volto mentale che muta a seconda delle circostanze, una fisionomia che cambia a seconda della persona verso la quale Simon dirige i suoi sospetti: Blue può essere chiunque. Questa modalità si rivela la più disinvolta, e narrativamente efficace, per far passare l’idea che, per l’appunto, tra gay ed etero non c’è differenza alcuna, obiettivo tematico del film dichiarato fin dall’incipit: la voce fuori campo di Simon esordisce con un inequivocabile «Io sono come te» che intendiamo come «Io sono come te che stai guardando, chiunque tu sia, etero o gay». Scopriremo poi che quelle parole sono l’esordio della prima mail che Simon manda a Blue: «io sono come te (Blue)». E se Blue, per l’appunto, può essere chiunque, chiunque - il cerchio si chiude - può essere etero o gay.
In questo rendere con disinvoltura la sua sfumatura morale (sottolineo morale, perché se si guarda bene - il finale sulla ruota panoramica lo sancisce - ci troviamo in una favola), il film ha una sottigliezza che la sua scrittura, il complesso delle situazioni messe in campo, il disegno dei personaggi (e le loro storie parallele accennate: l’amica innamorata silente, la nuova arrivata in città eccetera) non possiede mai.
La stessa regia di Greg Berlanti (showrunner e sceneggiatore televisivo - Dawson’s Creek - al suo terzo film da regista - aveva esordito con Il club dei cuori infranti -) è appiattita sulla resa in superficie dei motivi del romanzo, anche se, evidentemente, il fine è proprio quello di creare un film "comune" sul tema, senza santificazioni, martirii, tirate intellettuali o esistenzialismi indie. Insomma commerciale ad ampio raggio («Io sono come te», per l’appunto: Love, Simon è come qualsiasi altro ordinario teen movie).
Così come il protagonista Nick Robinson è proprio come i liceali di Tredici (13 Reasons Why, di cui due attori-civetta sono parte del cast): uno che ha superato abbondantemente la ventina in barba alla sospensione dell’incredulità.
[1] Ha ottenuto anche il plauso di Xavier Dolan che ha sintetizzato bene la questione: «Non discutiamo del film in sé, piuttosto concentriamoci sulla sua esistenza e sul fatto che una major abbia realizzato un film sul coming out di un teenager».