Drammatico, Sala

FIXEUR

Titolo OriginaleFixeur
NazioneRomania
Anno Produzione2016
Durata98'

TRAMA

Bucarest. Radu è un giornalista praticante che viene ingaggiato come intermediario per i cronisti di una televisione francese: dovrà guidarli nell’inchiesta sulla prostituzione minorile che ruota intorno ad Anca, una ragazza sfruttata che vogliono convincere a parlare.

RECENSIONI

«È tutto nel cervello: non esistono amore e sentimenti, è solo una meccanica». A dirlo è l’unica figura grottesca in Fixeur, lo sconosciuto che il protagonista Radu incontra in treno, un uomo senza un braccio che riesce a masturbarsi con l’arto fantasma fino all’orgasmo. Radu, intanto, sta facendo da mediatore (fixeur) per i giornalisti della Tv francese che conducono un’inchiesta sulla prostituzione minorile. Perché questo incontro? Adrian Sitaru, regista della Romania oggi, inserisce il breve segmento narrativo con personaggio “fuori luogo” proprio per segnalare l’avanzare della meccanicità. È meccanica la telecamera del programma televisivo che, in cerca dello scoop, vuole registrare il racconto di Anca, bambina a Bucarest e prostituta a Parigi. È meccanico il comportamento della ragazza che, quando inizia a parlare, replicherà le stesse frasi proposte ai clienti, i medesimi modi. Rischia di farsi meccanico, inoltre, tutto lo svolgimento dell’inchiesta: non esistono amore e sentimenti, quindi i giornalisti (e la guida) non si interrogano eticamente sulla loro azione, la svolgono e basta, l’unico obiettivo è realizzare il servizio. Se è tutto nel cervello, però, e niente nel cuore, gradualmente emerge il problema del confronto con la propria morale.

La troupe cerca la ragazza che vuole inquadrare a tutti i costi: non si accontenta della storia, pretende anche l’immagine. Anca è protetta in un convento, da una madre superiora che la sottrae allo sguardo: «Chi ha orecchie per intendere capirà anche senza filmarla», dice preservandola, tenendola nel privato e negandone la pubblicità. Malgrado l’incarnazione gelida dell’istituzione («Perché la Chiesa è sempre così rigida?»), qui il dubbio etico è già al lavoro: è opportuno mostrare una ragazza sfruttata o bisogna tenerla fuori campo? Violare la privacy per denunciare meglio o tacere sull’ombra di un Paese? I francesi non hanno dubbi: vogliono renderla mediatica, offrirla al voyeurismo, gettarla nel circo dell’audience. A fin di bene, ovvio. Il mediatore rumeno si posiziona nel ruolo passivo di timone: deve solo condurli, tradurli, non ha voce in capitolo. Ma dentro di lui si affaccia il dilemma: non caso il poster del film presenta simbolicamente il titolo come banda nera sugli occhi della ragazza, ovvero sull’organo della vista, che vede e viene guardato. La giovane, pressata dal medium, si produce in un’altalena - prima disponibile, poi intimidita e di nuovo disponibile - quasi a rispecchiare i motivi contrastanti che si scontrano, l’eventualità di farsi vedere contro la scelta di occultarsi. Alla fine, accettata l’intervista, Anca offre a Radu del sesso: non sa uscire dal ruolo imposto, conosce solo l’abuso, è per lei l’unico scenario plausibile.

 Dopo il percorso di questi uomini che vanno avanti a testa bassa, è proprio la ragazza che spacca il bilinguismo del racconto: risponde in francese, recita il suo prezzario, enuncia nella lingua di Voltaire la frase con cui si vende. «La pipe et l’amour, 50 euros». Lo dice guardando in camera, ovvero guardando noi, perché a questo punto è a noi che si rivolge: ci pone il dubbio se guardare, spettacolarizzare o rispettare il pudore. È una ripresa simbolo del cinema di Sitaru: chiamare in causa lo spettatore, farlo scegliere, sporcargli le mani con la complessità. «È un film sull’ambivalenza del nostro sistema di valori», afferma il regista, ed ecco il collegamento diretto con il contemporaneo Illegittimo, il muoversi sullo stesso terreno: quello del nodo insolubile. Il ritorno al privato è nel finale in piscina ma qui, stavolta, Radu non rimprovera più il figliastro alla prova di nuoto bensì accetta una sconfitta, non più drammatica ma perdonabile, in un dialogo coperto dai rumori di sottofondo. Il dilemma, come nell’altro film, prosegue oltre lo schermo: sarà per questo che i finali di Sitaru sono circolari, perché formano un cerchio che si ripete senza uscita, invitano ad accogliere l’impossibilità di una posizione definitiva e lasciano la riflessione aperta, estesa e difficile, lontano dalla comoda chiusura. La Romania per Sitaru è uno stato del dubbio.