
Probabilmente arrivare a Cannes con una storia sulla Francia dell’Aids (anche se concentrata esclusivamente sul piano intimista e non su quello dell’attivismo) dopo 120 battiti al minuto di Campillo dell’anno scorso, preclude un po’ di strade a questo film di Honoré, ed è un peccato. Perché, per quanto meno scomposto e ardito del solito, più virato sull’introspezione dei caratteri, sulla resa dei loro stati d’animo, sul lavoro sui dialoghi, meno urgente di sperimentare sul linguaggio, Plaire, aimer et courir vite è uno splendido melodramma di testa che, ancora una volta, dimostra quanto questo regista sappia raccontare con felice ispirazione storie di persone fuori dagli schemi della logica borghese, in pieno disordine sentimentale e sessuale. Personaggi instabili (come i film di questo regista, che non hanno mai paura di sbracare e battere qualsiasi strada), in preda a una grande confusione in cui confluiscono sentimenti tanto contrastanti quanto urgenti, quelli di un’umanità assetata di vita e che, puntualmente, in questo smodato abbeverarsi, incrocia il dramma della morte. In questo senso il flagello dell’Aids, il lutto che ha provocato nella comunità omosessuale in quegli anni (il trip hop dei Massive Attack, col quale il film si apre, ci cala subito nei Novanta), non poteva non essere affrontato dal cineasta. Con la consueta leggerezza truffautiana, dando tutto il tempo ai suoi personaggi per mostrarsi, parlarsi addosso, capirsi, farsi capire e innamorarsi, Honoré ci prepara alla tragedia. È scritto dall’inizio che tutto questo riso, questo amore, questa leggerezza si tramuteranno in pianto.