TRAMA
Virginia Vallejo, celebre anchorwoman colombiana ha chiesto asilo politico agli Stati Uniti. Amante appassionata di Pablo Escobar, criminale e trafficante di cocaina senza scrupoli e rimorsi, ha deciso di raccontare alla DEA gli anni della loro relazione e dell’ascesa vertiginosa del ‘patrón’ di Bogotà. Ambiziosa e decisa a saperne di più di quello che diventerà in pochi anni il più ricco e potente trafficante di sempre, Virginia si innamora di Pablo e lo sostiene nella carriera politica sorvolando su quella criminale. Ma i desideri di Pablo sono più voraci dei suoi e finiscono per trascinarla in un abisso da cui le tenderà la mano l’agente Neymar della DEA.
RECENSIONI
Amando a Pablo
C'è una scena quasi alla fine di Loving Pablo in cui Pablo Escobar, braccato dall'esercito, scappa dalla sua villa, lasciando tutti i suoi beni terreni alle spalle, pensando solo a salvare la sua libertà. Fugge risalendo un fiume, correndo a chiappe strette, completamente nudo, strabordante, affannato, impaurito. È una scena che mette a nudo l'uomo, spogliandolo delle vesti criminali, privato del terrore che è sempre riuscito a incutere. Un passaggio che riporta alla mente il Burt Lancaster di The Swimmer di Frank Perry (titolo non a caso tradotto in italiano in Un uomo a nudo), che per un attimo riesce a bucare la coltre di terrore di cui Escobar nella sua carriera criminale si è ammantato.
È una scena che sconfina volontariamente nel ridicolo, che mette lo spettatore nella posizione di guardare il mostro dall'alto in basso, di ridere di lui, di ridimensionarlo e ricordare che, in fondo, è solo un uomo fatto di carne, grasso, e ossa. Soprattutto grasso.
Peccato però che sia l'unico momento sincero di tutto il film.
... Odiando a Escobar
Loving Pablo è la trasposizione cinematografica di Amando a Pablo, odiando a Escobar, il memoriale della giornalista colombiana Virginia Vallejo in cui descrisse la sua relazione con il noto narcotrafficante. Per l'occasione a interpretare Virginia Vallejo è Penelope Cruz, mentre a Javier Bardem viene affidato il ruolo di Pablo Escobar. Partendo dall'espediente narrativo dell'intervista Virginia racconta il suo incontro e la sua vita con il trafficante colombiano, di cui ha vissuto ascesa e declino. Un punto di vista dunque dichiaratamente soggettivo e che il regista Fernando León de Aranoa sceglie di approcciare nell'abusatissima formula da emulo di Scorsese o dello Scarface di Brian De Palma. Tutto viene edulcorato e reso in qualche modo piacevole, la violenza viene sempre mitizzata e mai criminalizzata. Una rappresentazione ad approfondimento psicologico nullo che ha costantemente il senso dell'insincerità e della messa in scena più interessata a un'esaltazione del criminale, che possa in qualche modo incontrare il gusto del pubblico, che a farne una descrizione accurata e sfaccettata volta a sbugiardarne i lati nascosti.
La pecca più grande del film è proprio il non riuscire mai a restituire il dualismo del sentimento proposto dal titolo (del libro) qui pronunciato dalla Cruz/Vellejo nel tirare didascalicamente le somme su chi sia per lei Pablo Escobar. Si unisce il punto A del titolo al punto B del titolo pronunciato ma senza che la retta passante per i due punti sia un effettivo sviluppo del concetto espresso in partenza.
Amando a Pablo sì, odiando a Escobar non pervenuto.
