Video

IN LANA EMPIRE: DEL REY FEAT. THE WEEKND

Lust For Life (Lana Del Rey feat. The Weeknd) diretto da Rich Lee

Lana Del Rey e The Weeknd sono tra i pochi artisti che in questi anni hanno costruito coscientemente, attraverso il videoclip, un forte immaginario di riferimento dettandone le leggi, ragionando su di esso, cesellandolo pezzo per pezzo, immagine per immagine. The Weeknd ha dato vita a un esaltante percorso bipolare: da un lato quella che si è rivelata un’autoreferenziale saga faustiana (i video diretti da Grant Singer, i cui motivi sono stati remixati dai BRTHR in Party Monster), dall’altro un percorso da popstar consapevole che si misura con le firme trendy (Warren Fu, Nabil, Ilya Naishuller, Anthony Mandler, Sam Taylor-Johnson, Pedro Martin-Calero). Di Lana Del Rey abbiamo ripetutamente detto: plasmata su fantasie passatiste, diva autoproclamatasi senza passare dal via, forte di un repertorio (superbo) che è vintage puro e variato, con liriche impregnate di memoria americana da cartolina ingiallita, ha piegato ogni regista al suo volere, ottenendo da ciascuno (tutti primi della classe) una versione differente e plausibile del suo personaggio inquieto, la cui gioventù bruciata è sedicente, istantanea leggenda (metropolitana). Per questo l’incontro in video (Lana feat. The Weeknd) è uno degli eventi della videostoria del 2017.

Lust for Life si muove su quel percorso mortifero che da sempre contraddistingue i video di entrambe le star. Così il VHS style, non è solo il consueto occhio strizzato al passato, ma allude anche a un’immagine riesumata: come nei clip di Del Rey diretti da Yoann Lemoine (Blue Jeans, Born To Die) Lana è una morta che canta.
Quanto Del Rey giochi col mondo di David Lynch ce lo hanno detto in questi anni non solo le atmosfere dei suoi brani (e quella ultraviolence sa tanto di Dorothy Vallens), i video suddetti (che sguazzano tra i riferimenti, da The Elephant Man a Cuore selvaggio), ma anche certe scelte esplicite (Blue Velvet, lo spot H&M diretto da Johan Renck che gioca col weird world del regista).
Nel sogno post mortem di Lust for Life (non dimentichiamo che l’intera visione parte dall’occhio della protagonista che tutta la contiene – dall’inizio alla fine -) la cantante reincontra il ragazzo morto tragicamente («They say only the good die young») sulle lettere della scritta Hollywood. Ci si muove al confine di Mulholland Drive, ma soprattutto si mette in scena un racconto ambiguo in cui le dimensioni rappresentative slittano una nell’altra: realtà e registrazione della stessa, tempo storico e tempo metafisico, paradiso e inferno (in una parola: Hollywood, luogo dorato e pericoloso, meta agognata e vortice di perdizione, ascese e cadute, trionfi e fiaschi), finzione e verità (il suicidio dell’attrice degli anni 30 Peg Entwistle).

 

Il video traduce con ispirazione aderente il misto di erotismo e tristezza che si sprigiona dalla canzone, e, facendo eco alle liriche, accumula livelli con candida, svaporata levità, concentrando in un’unica, fluida rappresentazione parabola sul successo, tragedia accidentale e suicidio. Le immagini traboccano di simboli – la coreografia iniziale (l’idillio?), la nave-aquilone (il miraggio della fama?), gli occhiali a specchio (le star vi si riflettono?), il salto delle lettere (la strada verso il successo?), il nastro per i capelli (il rifiuto di un’immagine codificata?), il paradiso come un pianeta segnato dal simbolo della pace etc – e si prestano a letture molteplici, conducendoci alla compulsiva revisione del clip. Facendo della fabbrica dei sogni losangelina un impero mentale (INLAND EMPIRE…), Lust for Life guarda ai modelli con sacrosanta sfrontatezza, facendoli abitare da due creature trapassate, ma felici di ritrovarsi, infine, in un’altra dimensione.
Rich Lee quest’anno ha diretto per Lana Del Rey anche il notevole Love (ne ho scritto sul n. 10/2017 di Film TV) e il futuristico White Mustang: una scelta che conferisce un’inedita omogeneità alla proposta video legata all’ultimo album dell’artista.