TRAMA
La polizia chiede al killer ravveduto Wo di incastrare un suo amico. Saputo che il fratello poliziotto è nel caso, accetta: ma scopre che l’amico è stato raggirato da una potente banda di falsari.
RECENSIONI
Girato in fretta sull’onda del successo del primo capitolo, segnato da diatribe fra il regista e il produttore Hark Tsui (che l’ha rimontato), risente della sua natura da clone con racconto, struttura, motivi e personaggi simili (si ricorre anche all’espediente del gemello per resuscitare i morti). Ma girare lo stesso film non è disdicevole, soprattutto se ci si avvale dello stile inimitabile di John Woo: ciò non toglie che si è di fronte ad una narrazione più raffazzonata e a coreografie delle sparatorie che, per quanto sempre sorrette da uno “storyboard” e da un montaggio iconoclasti e seminali (questione di numerose e insolite angolazioni di inquadratura, di regole del campo controcampo disattese, per un fascino disordinato da b-movie), denunciano meno cura ed inventiva (onore e merito, comunque, all’action director Siu-Tung Ching, regista, lo stesso anno, del pregevole Storia di Fantasmi Cinesi). Le inverosimiglianze strabordano come il mélo-noir (che fa spola anche a New York) e tutto ciò che di rischioso c’è nel cinema del regista (ridicolo involontario, patetismo, disorganicità, schematismo predicatorio) fa sentire il suo peso specifico, non controbilanciato da una “schiettezza” figlia dell’entusiasmo del metteur en scène. Ancora “samurai” sulla via della redenzione (nel finale c’è pure un duello di spade), in lotta contro il male e con un passato da mondare nel sangue (la carneficina finale, stile Il Mucchio Selvaggio, propone una violenza talmente eccessiva da negare se stessa), nella propria morte (magnifico il montaggio parallelo, altra costante presenza, fra il parto e il trapasso) o addirittura nel sacrificio dei propri cari (la moglie ed il bambino abbandonati, il fratello che spara al fratello).
