TRAMA
In una fredda notte d’inverno nell’odierna Teheran una giovane coppia si trova di fronte a un grave problema e ha solo poche ore per trovare una soluzione. I due giovani vanno di ospedale in ospedale in cerca di aiuto ma nessuno sembra disposto a ricoverare la giovane donna e a prestarle le cure mediche di cui ha disperatamente bisogno.
RECENSIONI
L’iraniano Ali Asgari affronta attraverso il mezzo cinematografico i conflitti generazionali e le contraddizioni del suo paese. Come già nel cortometraggio More than two hours pone due giovani, un ragazzo e una ragazza, davanti a una situazione inaspettata, in teoria facilmente risolvibile, dove è la geografia a giocare un ruolo determinante. In molti altri paesi, infatti, un’emorragia vaginale potrebbe risolversi al Pronto Soccorso, con qualche imbarazzo ma senza troppi problemi, attraverso un piccolo intervento, mentre a Teheran la situazione appare subito terribilmente complicata. Per essere curati infatti, nonostante la ragazza sia maggiorenne, occorre il certificato di matrimonio o la presenza dei genitori, altrimenti l’intervento è ritenuto fuorilegge. Considerando che i due giovani non sono sposati, e non hanno la minima intenzione di subire le conseguenze del coinvolgimento della famiglia, trovare qualcuno disposto ad affrontare la contingenza diventa possibile solo percorrendo la strada dell’illegalità. La macchina da presa sta addosso ai due protagonisti e li pedina, spesso di spalle e attraverso lunghi piani sequenza, incalzando la ricerca di una soluzione. Una regia asciutta, attenta ai contrasti e alla gestione degli spazi in chiave claustrofobica, valorizza una sceneggiatura altrettanto parca nelle spiegazioni (dei giovani e del loro pregresso sappiamo poco), scelta che si rivela efficace perché smussa le didascalie dell’urgenza lasciando un ampio margine di non detto su cui lo spettatore si può interrogare e ragionare. In questo senso il finale aperto, e solo in parte risolto, lascia una sensazione di angoscia che resta sospesa. A emergere è ovviamente il divario fra la tradizione, imprescindibile per le vecchie generazioni, e la voglia di rinnovamento e di autonomia dei giovani, prigionieri di regole rigide che è il pulsare stesso della vita a dimostrare superate. Un cinema, quello di Asgari, che nasce da un’evidente urgenza comunicativa ma che, pur attraverso una certa omologazione di stile (Il cerchio di Jafar Panahi viene subito in mente), non esaurisce il suo interesse nel solo vento di cambiamento di cui si fa promotore.
