TRAMA
Claudia e Flavio si sono amati, a lungo e con grande passione. Poi tutto è finito e per entrambi, soprattutto per lei, non è stato facile. Dopo tanti anni il loro è un mondo alla deriva. Lui incontra Giorgia, molto più giovane e concreta. Lei intraprende una relazione con Nina, una sua studentessa. Superare quei sette anni di altalenante intesa, però, sembra impossibile.
RECENSIONI
Ci sono amori che rischiano di volare via tanto sono leggeri e altri che invece pesano come macigni. È di questi ultimi che si occupa Francesca Comencini trasponendo il suo omonimo romanzo. A renderli tali è ovviamente la consistenza emotiva di chi li abita. Quello di Claudia è un amore assoluto, compulsivo, un sentimento talmente tenace e bisognoso di conferme da diventare un tormento. Una forza così dirompente dapprima attira Flavio, che ha modo di sconfiggere solitudine, routine e noia, ma finisce inevitabilmente per allontanarlo. Il film si apre su un dato di fatto, la fine della loro relazione (la protagonista indossa il cappello “dei ricordi” svegliandosi stordita in un letto sfatto) e diventa l’elaborazione di un lutto, la presa di coscienza definitiva, non solo razionale, che una fase è finita ma le cose possono cambiare e si può andare avanti, e provare a essere felici, nonostante tutto (non a caso, a fine film, Claudia scaglierà il cappello “dei ricordi” giù da un ponte). La regista insegue il flusso di coscienza della sua protagonista che ripercorre con un ordine puramente emotivo le tappe della sua ossessione e alterna momenti chiave ad altri apparentemente più marginali, inserendo anche una sorta di lezione onirica sull’economia eterocapitalista, in cui viene calcolata la “vera” età di ogni donna sul mercato sessuale (sequenza che stride ma diverte). È un film ricco di suggestioni quello di Francesca Comencini, sbilanciato a favore della sua protagonista che ama incondizionatamente e si ammala d’amore, cercando di riempire voragini interiori che la sceneggiatura, probabilmente per evitare qualunque facile psicologismo, si premura di non approfondire. Anche il punto di vista maschile viene esplicitato, ma la sensazione è che a parlare sia sempre la protagonista, dietro cui si cela la regista che traspone in immagini la scrittrice. Siamo quindi dalle parti del senso unico.
Il lato patologico rischia di mangiarsi il film, e non è facile entrare in empatia con un personaggio interessante ma anche respingente, vitale ma contradditorio, egocentrico e soffocante, alla fine distante perché un po’ troppo letterario, più vicino a un’idea, o a un’ideale, che alla concretezza di una professoressa che oltre a un amore totalizzante e psicotico vive anche un quotidiano in cui non c’è spazio per l’isteria a meno di non essere esclusi o ai margini, cosa che la protagonista si/ci racconta ma in fondo non è. Lucia Mascino si butta anima e corpo nelle mille sfumature di Claudia, ma non è semplice tenere la carreggiata quando si procede sempre a folle velocità, e Thomas Trabacchi le fa da efficace contraltare. Tra echi di Nanni Moretti (il candore stralunato con cui molte battute vengono pronunciate) e filmati d’epoca dalla chiara funzione evocativa, in grado di far rimpiangere un’età dell’oro, come riconoscono i protagonisti, in fondo mai esistita, si succedono con buon ritmo spunti, riflessioni, battute argute, cadute di stile e luoghi comuni. Il risultato è un po’ strampalato, ma genuino, e sottintende un disagio sincero. Un film di difficile collocazione che vive della sua frammentarietà e del non cercare tanto un approdo, quanto un po’ di ordine, più che altro dei punti fermi, nel caos.
