TRAMA
Un nuovo super-villain minaccia il mondo, Balthazar Bratt, child-star anni ’80 ora votata al male, e Gru, ora votato al bene, dovrà affrontarlo con l’aiuto (?) del gemello inaspettato Dru.
RECENSIONI
Come da copione, nel raccontare una nuova avventura ogni sequel formulaico che si rispetti sceglie la via facile dell' “aggiungi un posto a tavola”, sommando parossisticamente formula a formula. Se Cattivissimo Me 2 vedeva l'entrata in scena di Lucy come interesse amoroso/madre adottiva, ora la famiglia, secondo meccanismi quasi da soap, si allarga con un nuovo membro, Dru, gemello miliardario di Gru, il quale ne ha da sempre ignorato l'esistenza. Questa volta si opta per un divide et impera con una struttura quadripartita di storie indipendenti, che permette di dare respiro (e screen time) a tutti i (tanti ormai) beniamini, scivolando però in un certo semplicismo televisivo: Gru e Dru si alleano nella loro missione, Lucy cerca di legare con Margo e impara a fare la mamma, Agnes e Edith vanno in cerca di unicorni, i Minions scioperano e cercano di dare un nuovo senso alla loro vita. Il resto rimane invariato, ripercorrendo gli stilemi che hanno decretato il successo incredibile della saga (che include anche un mal riuscito spinoff, senza contare i numerosi corti): un nuovo super-villain, le gag, questa volta divertenti e misurate, dei Minions che si riappropriano del ruolo che compete loro - quello della spalla comica-, unicorni coccolosi e strizzate d'occhio nerd. Queste ultime in particolare abbondano, grazie all'egocentrico super-cattivo di turno dalla personalità flamboyante ma non invasiva, Balthazar Bratt, giovane star di uno show televisivo anni '80 che, dopo la chiusura dello stesso, ha giurato vendetta alla Hollywood che lo ha ripudiato, rimanendo ancorato al suo passato e esibendo sfacciatamente make-up, abiti e canzoni vintage. Elemento nuovo e interessante sono le coreografie dei combattimenti, in questo caso al limite delle dance battle, sulle note (tra le tante) di Bad di Michael Jackson, scelta tanto banale quanto quasi dovuta.
Se Gru ha ormai attaccato al chiodo la sua “cattiveria” (pur conservando la sua badassness), Dru, il gemello ritrovato, identico ma più affascinante anche solo per la bionda chioma fluente, la brama pur essendone completamente incapace: goffo, bonaccione, giocherellone chiede l'aiuto del fratello a cui svela la storia della loro famiglia e della lunga discendenza di super-villains che l'anno contraddistinta, primo fra tutti il padre, nascosto a Gru dalla madre a causa di un accordo e anaffettivo verso Dru a causa della sua incompetenza nell'arte di famiglia. Le dinamiche sono quindi scontate ma divertenti: all'euforia iniziale - i due si (ri)conoscono e si scambiano goliardicamente i ruoli e il guardaroba per vedere le reazioni altrui -, subentrano i primi litigi, si dicono cose che non si pensano, ci si fa male, ci si perdona, tutto senza particolari sorprese se non dal punto di vista grafico. La ricerca e la sperimentazione del concept design sono sempre stati una priorità della francese Illumination-McGuff e questo terzo episodio lo conferma: salvo le bimbe, tutti i personaggi hanno i tratti distintivi di caricature grottesche (tipico poi dell'animazione d'oltralpe, si pensi ad esempio a Appuntamento a Belleville): Gru è calvo, ha un naso adunco su un volto incassato in due grosse spalle, pancia a palloncino e glutei minuti (qui anche in versione senza veli), gambe da fenicottero. Eppure gli artisti riescono a creare l'appeal in pose e animazioni che sfruttano appieno le sue forme sgraziate. In questo caso l'effetto è raddoppiato, perchè le scene in tandem con Dru o Balthazar rivelano una dichiarata ricerca della simmetria e del contrasto: nelle loro tute d'assalto Gru sceglie il nero (ma lui è quello buono e antipatico), mentre Dru il bianco (ma lui è quello inetto ed entusiasta che desidera fare il villain) e vicini sembrano quasi disegnare uno yin e uno yang. Blathazar, alto, magro, due grossi baffi su un mullet esagerato (con calvizie incipiente), veste, ovviamente, una lucida tutina viola, che ricorda un po' l'outfit di John Turturro ne Il Grande Lebowski, con l'aggiunta di due enormi spalline. Rimane anche il manierismo animato tipico della Illumination-McGuff, lontano dal naturalismo di Disney e Pixar e dalla snappyness di Sony e Warner, a volte quasi fine a se stesso, ma che si presta perfettamente allo stile slapstick di gran parte delle gag. Interessante è anche il design delle super-armi di Balthazar, dal delicato equilibrio tra l'hypertech e il retrò.
Insomma, si ripropone il trend tipico dell'azienda nel creare prodotti divertenti, colorati, curatissimi e facilmente dimenticabili generando enormi profitti grazie ai costi ridotti dell'outsourcing francese. Peccato, perchè il capitolo uno (lontano dall'essere concepito come una saga) era nato come qualcosa di fresco, diversamente irriverente, lontano dagli ammiccamenti spesso grossolani della prima Dreamworks, arricchito di uno humor squisitamente europeo. Poi Hollywood è intervenuta e lo ha trasformato in un franchisemiliardario dal fiorente merchandise con le sue regole e limiti. Come già Minions (senza contare il fortunatissimo Sing) anche Cattivissimo me 3 ha superato il miliardo di dollari al box office mondiale seguendo però una piega allarmante e ormai comune a tutti i grossi tentpole made in Hollywood: gli incassi in patria diminuiscono sempre più, mentre quelli internazionali (sempre in ritardo ovviamente su mode e tendenze) si rafforzano (complice anche il sempre più forte mercato cinese). Come da copione, anche le conclusioni sono sempre le stesse: i registi Pierre Coffin (veterano della serie) e Kyle Balda (animatore nel primo Cattivissimo me e qui promosso in cabina di regia) confezionano un episodio (di episodi) riuscito e divertente che intrattiene a dovere grandi e piccini senza prendersi rischio alcuno, scorrevole, coerente tanto da poter essere assimilato a un buon prodotto televisivo in cui non c'è volontà di aggiungere qualcosa di veramente nuovo sia tematicamente che registicamente, ma solo di continuare le avventure cercando (almeno quello) di scavare un po' nei personaggi nel modo più banale possibile, ovvero facendoli interagire con altri (nuovi) personaggi, ma senza esagerare: troppo audace. Al pubblico piacciono così come sono, semi-cristallizzati in una eterna “messa in onda”.