NICHOLAS RAY

La nuova direzione del Torino Film Festival targata Gianni Amelio non delude le aspettative di appassionati e studiosi di cinema dedicando una delle due retrospettive al regista americano Nicholas Ray, con un eccellente cura per le copie presentate (Johnny GuitarIl temerario e Il dominatore di Chicago su tutte), con l’inserimento di We Can’t Go Home Again, film inedito girato nel 1976 dal regista in collaborazione con i suoi allievi dell’università e ad oggi ancora incompiuto. L’ultima moglie dell’autore, Susan Ray, ospite del festival per tutta la sua durata, sta completando il film che verrà presentato ufficialmente nella sua totalità alla Mostra di Venezia del 2011. L’unica opera di Ray che non figura nella retrospettiva è Nick’s Movie – Lampi sull’acqua, girata dal regista assieme a Wim Wenders e non presente al festival perché già offerta due anni prima durante la retrospettiva che la direzione Moretti dedicò a al regista tedesco.
Per un cinema di sentimentiLa mdp posizionata all’altezza del manto stradale inquadra una scimmietta giocattolo con un cappuccio rosso mentre sbatte ripetutamente i piatti di una batteria. Dal fondo dell’inquadratura si avvicina un giovane ragazzo vestito in giacca e cravatta. Questi si accovaccia entrando  completamente nell’inquadratura, ricarica il giocattolo che intanto aveva smesso di funzionare, poi, una volta terminato il gioco, con il volto triste poggia la scimmietta in posizione supina, la copre con un pezzo di carta a mo’ di coperta, quindi si mette anche lui in orizzontale, in posizione fetale, con le mani tra le ginocchia e si addormenta.
_x000D_Questo l’incipit di Gioventù bruciata, il film più noto di Nicholas Ray e probabilmente anche il più rappresentativo. Girato nel 1955 è il vero il cuore della produzione del regista, il perno centrale di un cinema pieno di centri, un cinema decentrato, sempre in fuga dal sistema, qualunque esso sia, ma mai tanto in fuga da perderlo di vista. Il film che – più degli altri – è valso a James Dean la fama e l’aura leggendaria che tutti conoscono è, oltre che una delle opere più cristalline ed efficaci nel portare sullo schermo il conflitto generazionale peculiare di quell’epoca e non solo, anche un lavoro estremamente importante per il cinema di Ray, tanto mettere luce sull’intera cinematografia del regista, un testo chiave per l’esegesi dell’autore e della sua poetica. Grazie a Gioventù bruciata si osserva con altri occhi tutto il cinema del regista, si capisce che la maggior parte delle tematiche, dei caratteri e dei protagonisti erano già presenti in tutti i suoi lavori precedenti, anche solo in forma embrionale. Un cinema che fin da subito si pone di tralice rispetto alla produzione ad esso circostante, rifuggendo dall’azione e offrendo ampio spazio alla riflessione, per una poetica che fa dei sentimenti, dei personaggi e dei loro rapporti sociali e familiari il suo nucleo principale d’indagine.
_x000D_Fin dai primi lavori è evidente l’intenzione del regista di analizzare i generi maschile e femminile, le loro tipicità e la loro rappresentazione, in modo critico e analitico.
La donna è donnaLa rappresentazione del personaggio femminile al cinema subisce una vera e propria scossa tellurica con l’arrivo di Nicholas Ray: in un periodo – la fine degli anni quaranta – non cui la donna  non era un personaggio di grossa rilevanza drammaturgica, oppure, come nel caso del noir, assumeva spesso il ruolo fondamentale della dark lady, le figure femminili di Ray si fanno portatrici di una femminilità nuova, protagonista, oltre che sfumata, multiforme e a volte contraddittoria. Senza dubbio però, con il cinema di Ray la donna acquista un’importanza imprescindibile mettendosi finalmente al pari dell’uomo e in alcuni casi (Johnny Guitar) scavalcandolo. Il nuovo personaggio femminile proposto dal regista è spesso una figura forte, sicura, protettrice dell’uomo e generatrice del suo cambiamento caratteriale.
_x000D_Due esempi particolarmente emblematici rendono l’idea, pur nella loro diversità di carattere e di contesto, di quanto sia importante la donna per l’autore. Il primo è il personaggio interpretato da una straordinaria Ida Lupino in Neve Rossa, una donna apparentemente molto fragile ma dotata di una forza d’animo sconcertante. Ella si imbatte nel diffidente, burbero e ferito detective Jim Wilson (un eccellente Robert Ryan) e attraverso il proprio esempio – lei è una donna cieca che in maniera antitetica al detective è obbligata a fidarsi della gente – modifica il carattere e il personaggio di Jim in un’evoluzione narrativa commovente nel suo manifestarsi come atto d’amore.
_x000D_L’altra donna sulla quale è necessario porre i riflettori critici è naturalmente Vienna di Johnny Guitar. Un film mascherato da western ma che nella sua schizofrenica “femminilità”, e nei suoi conflitti porta alla luce una materia prima puramente melodrammatica. La donna è rappresentata nella sua totalità come meglio non si poteva e probabilmente proprio da questo assunto deriva la scelta di rivestire il tutto di un’ambientazione western in modo da proporre ancora un’altra faccia del personaggio femminile, quella più mascolina, pragmatica e determinata che si va ad affiancare a tutte le altre che Joan Crawford interpreta con straordinaria credibilità nel corso del film. Johnny Guitar ci presenta infatti sia la Vienna con le pistole dall’alto del soppalco del suo locale mentre domina e intimidisce chiunque – uomini o donne che siano – voglia metterle i bastoni tra le ruote; la Vienna fragile, sofferente, vulnerabile nella suo sentimento amoroso per Johnny che fatica a nascondere; infine la Vienna più femminile – che fa da simmetrico contraltare a quella armata – nella celeberrima scena in cui è mostrata come una donna sola in un locale depurato dalle effervescenze del passato, sola con il suo pianoforte, ricoperta da un vestito bianco che le dona una purezza unica.
Rebel(s) Without a CauseCosì come quello femminile anche il personaggio maschile, con l’avvento del cinema di Nicholas Ray, subisce una violenta sterzata rispetto alla sua messa in scena e alla sua tradizionale connotazione. Il maschio nel cinema dell’autore è sempre un personaggio molto fragile emotivamente, dotato di un eccesso di energia in continua entropia che spesso esplode attraverso brusche deflagrazioni di violenza. Il regista ha fin da subito amato particolarmente portare sullo schermo i problemi esistenziali maschili, che siano di un giovane adolescente o di un adulto. La poetica dell’adolescente ribelle, bisognoso di protezione e carico di energia da incanalare è presente fin dai primi film (La donna del bandito e I bassifondi di San Francisco, tra gli altri) e trova la sua espressione più riuscita e totalizzante nel Jim Stark di Gioventù bruciata che, con il volto incredibilmente fotogenico di James Dean (icona totale viste anche le sue vicende biografiche), raccoglie, addiziona e sintetizza tutti gli adolescenti turbolenti del cinema di Ray.
_x000D_L’autore però non rinuncia ad ispezionare anche i conflitti interiori dell’uomo maturo per i quali ricordiamo due interpretazioni molto importanti quanto emblematiche quali quella di James Mason in Dietro lo specchio e quella di Humphrey Bogart in Il diritto di uccidere. Il primo è forse il più importante, esplicito e rappresentativo melodramma familiare del cinema di Ray in cui un attore “anomalo” come James Mason interpreta un padre di famiglia altrettanto anomalo, vittima delle nevrosi quotidiane represse, protagonista di un’individualità inevitabilmente schiacciata e celata dalle costrizioni della famiglia americana.
_x000D_Allo stesso modo lo sceneggiatore in crisi de Il diritto di uccidere fa esplodere sotto forma di efferati atti di violenza la tensione e il dolore accumulati in un mondo, quello dell’industria hollywoodiana, che, in misura non minore rispetto alla famiglia di Dietro lo specchio, reprime ogni forma di sfogo e di imperfezione.
_x000D_Nicholas Ray però va ancora più a fondo ed in alcuni suoi film analizza il rapporto tra l’adolescente e l’uomo maturo, un legame che in alcune occasione viene declinato nella forma padre-figlio (Gioventù bruciata, Dietro lo specchio) e in altre in quella maestro-allievo (I bassifondi di San Francisco, I diavoli alati, Il temerario, All’ombra del patibolo). Tra questi Il temerario è senza dubbio quello che offre spunti più interessanti e numerosi. In primo luogo si tratta del film che meglio mostra la compresenza delle due principali figure maschili, dando spazio in maniera sostanzialmente equivalente ad entrambi i personaggi, i quali, grazie alle grandi interpretazioni di Robert Mitchum e Arthur Kennedy, offrono un ideale confronto tra due archetipici caratteri, turbolenti ed inquieti, che prima d’allora avevano percorso strade parallele o si erano incontrati in maniera soltanto tangenziale. Non solo, Il temerario è anche un film che conferma lo stato dell’arte della maturità di Nicholas Ray: a differenza di alcune delle prime opere, questo film, pur non scalzando l’interesse per i personaggi e i loro sentimenti dalla posizione prioritaria, è formalmente ineccepibile. Si tratta di un’opera modernissima, forse quella che più di tutti anticipa i tempi e preannuncia alcune atmosfere che verranno fuori negli anni settanta con la New Hollywood, così come la rappresentazione dell’eroe decadente e esistenzialista.
Qualcosa del GenereNonostante sia un cinema sempre contro qualcosa, che sia il sistema cinematografico e i suoi stereotipi o le istituzioni politiche e sociali, si tratta sempre però di opere molto amato dal pubblico alle quali senza troppi sforzi ci si affeziona. Ciò è dovuto allo stretto rapporto che il regista intrattiene con il cinema di genere, molto utile commercialmente a portare gente in sala, ma forse ancor più redditizio, con i suoi canoni e le sue figure ricorrenti, al discorso cinematografico del regista.
_x000D_Grazie all’utilizzo del cinema di genere, alla sua trasfigurazione e alle forzature che Nicholas Ray opera, anche la storia dei generi stessi subisce progressive riscritture e sovrascritture, in particolare per quanto concerne il western, il melodramma e il noir. Del western si è già parlato in parte con il discorso sulla donna, in quel caso non si abbandona quell’ambientazione o quegli stereotipi, ma li si porta al parossismo e li si utilizza al meglio, sprigionando il massimo della loro potenza visiva, specie per ciò che concerne l’uso del colore.
_x000D_Sono forse però il noir e il melodramma i due generi di riferimento del cinema di Ray, in una carriera che ha visto una serie di noir nella parte iniziale e che poi si è spostata in modo sempre più insistito sulla strada del melodramma. Questi due filoni non sono però mai separati e, anche se in maniera embrionale o latente in alcune occasioni, sono sempre compresenti e parte di una stessa realtà. Alcuni film possiedono questa caratteristica al loro interno: fin dall’esordio, La donna del bandito, assistiamo ad un’opera che inizia come un noir per poi trasformarsi in un melodramma che vede, come tanti lavori del genere, la tragedia come unica soluzione possibile. Ancor più emblematico è forse l’esempio di Neve rossa in cui per tutta la prima parte si assiste ad un classico noir metropolitano della fine degli anni ’40, con il tipico detective burbero e violento, per poi subire una violenta sterzata con l’entrata in scena del personaggio femminile che fa scoppiare conflitti di tutt’altro timbro e che trascina il film su una strada profondamente melodrammatica.
_x000D_In qualsiasi genere si muova Nicholas Ray sembra, per una strana inerzia artistica, scivolare sempre nel melò, in maniera più o meno dichiarata. Questa tendenza deriva dal grosso legame che ha il suo cinema con la realtà sociale circostante, con il continuo dialogo tra le sue opere e alcune urgenze reali che fanno degli anni ’50 un decennio unico, che l’autore interpreta come nessun altro.
_x000D_Un cinema che si posiziona come incorniciato in quella decade, in un’epoca fondamentale per tutto ciò che la seguirà, schiacciata da un lato dal puritanesimo ancora dominante e dall’altro da una rivoluzione dal basso operata da una generazione profondamente diversa che Ray non esita a mostrare in tutta la sua vitalità (energica e a-politica) e in tutta la sua fragilità. Un cinema, dunque, sulla frattura generazionale, su una generazione, quella dei padri, che non ha accompagnato e protetto quella dei figli, ma li ha lasciati andare allo sbando, proprio come il giovane de I bassifondi di San Francisco o come il reale, tragico esito di James Dean.
_x000D_Se la prima scena di Gioventù bruciata fa da apripista ad un discorso autoriale ben caratterizzato e mette luce sulle opere precedenti del regista, a far da ideale chiusura ad un cinema sempre alla ricerca del contatto, del conflitto anche violento tra personaggi e i loro sentimenti, potrebbe essere l’inquadratura finale di uno dei suoi film più celebri, Neve rossa: due braccia tese in cerca d’aiuto, comprensione e amore che incontrano altre due che prontamente arrivano a chiudere il cerchio, a soddisfare questa ricerca, simbolo di una cesura finalmente ricucita.