Feist ha da sempre una videografia prestigiosa (basti pensare al sodalizio con Patrick Daughters negli anni Zero) e non sorprende dunque che, dopo un primo singolo consegnato alle immagini di Nabil, questo The Bad in Each Other venga affidato alle sapienti mani di Martin De Thurah (che aveva diretto James Blake in Limit to your love, cover di un brano della Nostra). In Messico si dispiega una rete di storie che si incrociano nel tempo e nello spazio (e pensare ad Iñárritu ed Arriaga non ci sembra peregrino, e non solo per l’ambientazione): l’inizio in flashforward dà l’avvio a una serie di vicende, collegate in modo sotterraneo, e a un mosaico destrutturato di diversa umanità la cui lettura non è univoca e si affida alla revisione, oltre che alle individuali impressioni e alla libera interpretazione dello spettatore (la stessa Feist ha parlato di un poema visivo).
E’ sempre più evidente quanto la personalità di De Thurah – il regista più influente degli ultimi anni, vero guru per tutta l’ultima generazione di videomaker, non solo nordici (in Scandinavia il rispetto nei confronti della sua figura è oramai sacrale) – sia debordante e quanto quella del videoclip sia per lui una formula costrittiva che sente la necessità di interpretare in modo sempre più distante dai codici e autoriale in senso stretto.
Vioto: 8.5
– Gone Again è un suggestivo cortometraggio diretto da Tristan Seniuk che traduce in immagini due brani dei Mt. St. Helens Vietnam Band [foto].
– Matthew McConaughey reindossa i panni di David Wooderson (Dazed and Confused di Richard Linklater, 1994) in questo Synthesizers di Butch Walker And The Black Widows Eccolo oggi, col senno di poi. Molto, molto divertente.
– The Kills festeggiano i dieci anni di attività con il video The Last Goodbye, dietro la macchina da presa l’attrice Samantha Morton che, in linea con l’atmosfera nostalgica della canzone, ambienta la performance in un vecchio photobooth. Splendido bianco e nero di Florian Hoffmeister.
– Torna Punx Sthlm (Johan Bring & David Strindberg) con Don’t You Ever per General Fiasco: quasi una videoinstallazione in forma di promo e con Acid Test di STYGG – tre figure enigmatiche si aggirano in una sorta di labirinto fatto di teloni di plastica – esercizio di arte povera e inquietante.
– Tra Chris Cunningham, Tony Truand e soprattutto Daniel Levi (Freak per LFO) il misterioso Ima Read di Zebra katz. Il riferimento filmico è Shining, ma è poco più di uno spunto: molto lo fa il montaggio, l’ambientazione, il registro video low-fi e desaturato. Malatissimo.
– Il balzano videoviaggio dei Fixers per curare la malattia “al cereale” del nonno porta la firma dell’amato Ben Reed. Pieno zeppo di idee questo Iron Deer Dream [foto] che campiona, tra l’altro, immagini di due film: Rikards Boat Fixers (1991)di Rupert Svensverdant e Hershall Paulmann Presents ‘Science’ Lecture No. 52 (1976) di Mickal Holtgartden & Lucile Puckerknuckle.
– I Focus Creep (Aaron Brown &. Ben Chappell), di cui prima o poi ci occuperemo con la profondità che meritano, dirigono gli Spector in Chevy Thunder: il solito splendido montaggio per un allegro diario on the road con suggestioni metavideo.
– The Party dei Singtank: ancora un video labirintico per i francesi AB/CD/CD, ancora una volta un’idea scenografica forte con una debole applicazione. Si apprezza la buona volontà, ma l’exploit tarda ad arrivare.
– Splendido l’enigma diretto dalla danese Marie Limkilde per Sleep Party People. A Dark God Heart, nell’unica location, una stanza da bagno, fa accadere l’impossibile senza fornire alcun appiglio ragionevole. L’ennesima riprova della vitalità della videomusica scandinava.
– When Will You Die – They Might Be Giants, diretto da ? : creare/distruggere
– In the End – Snow Patrol, diretto da Brett Simon: Ginger & Fred?
– Mirror (Lil Wayne ft. Bruno Mars): schizzi di colore, per un murales-performance firmato, udite udite, Antoine Fuqua.
– Due Robert Hales al brucio, per due grandi ritorni: Red Hot Chili Peppers (Look Around) e Jane’s Addiction (Underground) …
…e due bellissimi video di Lasse Martinussen: A Persian tale [foto] di Rosemary (il progetto musicale dello stesso Martinussen e della cantante iraniana Sahar Pour, di cui Kasper Bjørke ha detto meraviglie) e Inside World di Whomadewho…
– … e infine altri due Hype Williams (aveva bollette in scadenza): uno interessante, l’altro no.
E infine giunse il nuovo album di Madonna che affida il primo video ai francesi Megaforce, reduci dall’exploit The Greeks, uno dei vertici della passata stagione. Presentato in occasione del Super Bowl, Give Me All Your Luvin’ assorbe l’evento e se ne fa portavoce con la sua brava schiera di giocatori di football, valletti-oggetto adoranti e servili. Non ci si può certo aspettare che Madonna, figlia – e madre “vergine” – degli egotici anni Ottanta, artista che ha edificato sulla sua immagine e il suo presenzialismo un vero e proprio impero, possa mettersi da parte e lasciare che i registi facciamo il loro gioco. E non è certo storia di oggi: Madonna vuole sì il meglio, ma poi pretende comunque di mettere bocca (basti pensare al conflitto con Chris Cunningham per il video di Frozen che portò il regista ad affermare che non avrebbe mai più lavorato con grosse star perché non gli permettevano di prendere decisioni che non potevano che spettare a lui), verificandosi il paradosso per cui i promo della Nostra riescono tanto meglio quando hanno dietro la macchina da presa degli ottimi mestieranti capaci di assorbire i suoi diktat, determinandosi altrimenti ibridi compromessi. Come questo.
Live fast, die young
Bad girls do it well
E a proposito di M.I.A.: non ha obblighi nei confronti di un pubblico popparolo esigente quanto poco elastico e dunque, smessi i panni di cheerleader, piazza il suo video-meraviglia, ancora una volta a firma Romain Gavras. E sono sfracelli: perché il regista si cimenta con un genere che generalmente rifugge (la performance – I made my first pop music video ha affermato -) e lo rilegge alla sua maniera: una coreografia esaltante, un corteo che avanza in uno quei contesti finto-realistici che gli sono congeniali, con quelle immagini che vogliono sembrare prese dal vero e che sono frutto invece di un’improvvisazione studiata (se mi si permette l’ossimoro) che è oramai sua caratteristica precipua. Con quel sonoro che si sovrappone alla traccia musicale, con quei suoi ralenti divini, con quel montaggio che spacca cuori, con quei frammenti di umanità che ti si conficcano dentro (i volti della folla), roba dopante, che crea dipendenza, che fa del video una sacrosanta creazione da guardare e riguardare. Compulsivamente. E’ bellissimo questo Bad Girls, che pennella provocatoriamente un’idea altra del mondo arabo (con le donne al volante per questo mirabolante ghostriding – spettatori gli uomini – nel deserto marocchino) e che ci dice della statura di Gavras, della sua inarrivabile capacità di costruire atmosfere, di cesellare la clip sul brano musicale, di rendere le immagini un tutto armonico, di scuotere l’attenzione con idee folgoranti, di coinvolgere lo spettatore, trascinarlo dentro una sfida, inebriarlo, commuoverlo, regalargli brividi.
E nel finale, a mò di firma, un bambino con i capelli rossi.
Istant classic.
Voto: 10
Quella neosurrealista dei Canada è ufficialmente una scuola, lo dimostra questo Just a Song dei Pony Pony Run Run, ma i registi Mary Clerte & Edouard Bertrand dimostrano solo la voglia di ricalcare il modello, di aderire a una tendenza. Bocciati.
E poi gli Ok Go: ce li hanno fatti a fette con queste performance parartistiche in cui i video e le canzoni sono puramente strumentali a una sfida di uno Scommettiamo che? un po’ più concettuale. Needing /Getting [foto] raschia il barile di una formula che oramai del video musicale è solo parente alla lontana.
Voto: that’s enough/ ça suffit/ anche no.