Drammatico, Recensione

7 MINUTI (2016)

NazioneItalia/ Francia
Anno Produzione2016
Durata92'
Tratto dadall'omonima opera teatrale di Stefano Massini
Scenografia

TRAMA

Il consiglio delle rappresentanti sindacali di una fabbrica si trova a discutere di un diktak della nuova dirigenza francese della società: manterranno tutte il posto di lavoro se accetteranno una diminuzione di 7 minuti della loro pausa lavorativa. A molte sembra un compromesso accettabile, una riduzione irrisoria a fronte della certezza del lavoro. Ma Bianca, la loro rappresentante nel consiglio di fabbrica, insiste per non cedere, in quanto segnale di debolezza sindacale che darebbe il via ad altri provvedimenti vessatori. La discussione degenera, e si arriva anche a insinuare che Bianca faccia in realtà il doppio gioco. Viene il dubbio che siano cadute in una strategia dei padroni volta proprio a seminare zizzania e a spaccare la compattezza delle lavoratrici.

RECENSIONI

Michele Placido porta al cinema il testo 7 minuti, del giovane e brillante drammaturgo Stefano Massini specializzato in teatro civile, che è stato allestito nei palcoscenici italiani da Alessandro Gassmann, mantenendo Ottavia Piccolo nel ruolo della protagonista, Bianca.
Passare da due medium comunque diversi, come teatro e cinema, dovrebbe comportare un lavoro di adattamento, di rottura e ricomposizione degli equilibri narrativi. Michele Placido ne è perfettamente consapevole e, anche con l’intenzione di fare un film popolare, fa di tutto per dissolvere le unità aristoteliche della pièce di partenza, che è un puro Kammerspiel in un magazzino della fabbrica dove si svolge l’assemblea sindacale che coincide con lo spettacolo. Nel film viene aggiunto un lungo prologo con la nuova dirigente che arriva dalla Francia e la riunione ai vertici per cui è lì. Solo dopo una quarantina di minuti il film segue il testo teatrale con l’inizio della discussione tra le operaie. E comunque Placido spezza anche questa con ulteriori digressioni, vie di fuga all’esterno. E gioca tutto su un sempre maggiore verismo cinematografico, negli accenti dialettali marcati e nella parlata popolare dei personaggi, o in dettagli impercettibili in sede teatrale, tatuaggi, trucco. E ancora nella scena della rottura delle acque della donna incinta. Tutto viene calcato per il cinema, vedi lo sputo all’apice della discussione.
Placido però butta via quello che è il principale punto di forza del testo di Massini che è quello dell’ambiguità, di mantenere il dubbio. Quello che fa sì, per la capacità affabulatoria del teatro, che lo spettatore si senta chiamato a riflettere, discutere tra sé e sé, immedesimarsi nel personaggi anche con l’eventualità di valutare positivamente la condizione dei 7 minuti. Accettare o non accettare? Lo spettacolo di Massini ricrea uno spazio che è un’agorà, il teatro è il luogo del dubbio, socratico, cartesiano, pirandelliano. E i dubbi serpeggiano parallelamente tra le operaie in scena come nello spettatore. Tutto questo si perde nel film. Lo spettacolo coincide con l’assemblea sindacale, non si vedono i padroni. Placido sostituisce questo capitalismo senza volto – come tale ambiguo e per questo angosciante – a un capitalismo che vorrebbe sembrare dal volto umano, ma che in realtà rivela un volto disumano. Tutto è davvero molto plateale. Già nella simpatia palesemente finta della dirigente francese, e dei vecchi proprietari, tra mozzarelle di bufala e ricordi di un flirt sulla spiaggia tra il vecchio padrone e Bianca, come a sottolineare il loro sentirsi a pari livello. Ma, come se non si fosse capito, la manager parigina svela infine la sua vera maschera sbottando contro gli italiani. Qui davvero, nel patriottismo, tutto precipita. Tutto risulta monocorde, facilmente retorico, manicheistico.

Vero che Placido mantiene in un’ellissi narrativa la prima discussione, quella agli alti livelli dove partecipa Bianca che poi riferisce alle colleghe. Così potrebbe mantenersi l’ultima ambiguità, quella sul reale comportamento di Bianca e sull’insinuazione delle colleghe sul vero gioco a cui starebbe giocando. Ma la recitazione di Ottavia Piccolo è così perfetta (così come brave e ben dirette sono tutte le attrici comprese le due prestate dal mondo della canzone, le mitiche Fiorella Mannoia e Maria Nazionale) che il dubbio non si pone nemmeno. E ancora a rendere il tutto più piatto e didascalico ecco le scritte sui titoli di coda a richiamare i casi reali simili a quelli raccontati dal film, mentre prima un telegiornale parlava della crisi economica greca e c’era anche un riferimento alla ThyssenKrupp. Stefano Massini aveva sì scritto il testo ispirandosi un episodio realmente accaduto in una fabbrica francese, ma anche con il modello dichiarato della pièce 12 Angry Men di Reginald Rose (anche questa messa in scena in Italia da Alessandro Gassmann), opera processuale dove continui sono i ribaltamenti di convinzione. Preservati peraltro nell’adattamento cinematografico di Sidney Lumet, come nel remake di William Friedkin.
Va dato atto a Michele Placido, oltre all’indiscutibile buona fede di tentare di fare un cinema di impegno civile, l’avere mantenuto la dimensione tempo su cui funziona il testo, pur non rispettandone la relativa unità aristotelica. Il tempo è quello dei fantomatici 7 minuti, tanto più paradigmatici in quanto non sono una cifra tonda; è quello dell’estenuante attesa delle operaie angosciate delle decisioni prese nella riunione ai vertici, rappresentata dall’orologio inquadrato in tempi diversi; è quello della sola mezz’ora concessa alle operaie, il cui sforamento fa saltare il tutto, a prescindere da quale decisione che verrebbe presa; è quello di una giornata in cui si ferma la dirigente che poi ha fissato il volo di ritorno. La costrizione stessa cui deve sottostare la narrazione del film.