Drammatico, Sala

50/50

Titolo Originale50/50
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2011
Genere
  • 66434
Durata100'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Adam scopre di avere il cancro.

RECENSIONI


Sul crinale tra la commedia brillante e un cancer-movie, Levine ci mostra un mondo di ferite che si aprono per poi essere chiuse, suturate da un umorismo pungente e politically incorrect  - la misoginia di Rogen, la presa in giro del cancro - capace di collocare la sua opera in quel territorio critico post Two Thousands, di pellicole tanto amate quanto inversamente aborrite.
Dopo 500 giorni insieme, Juno o Little Miss Sunshine è ormai consuetudine definire indie film alieni al concetto reale di indipendent-movie, ma che  rincorrono particolari fasce di mercato (soprattutto adolescenziali [1]), film che godono, come in questo caso, della riproposizione usurata di Gordon-Levitt (che interpreta Gordon- Levitt), della scelta furba della colonna sonora (spiccano, ricattatori, i Radiohead), della costante di un amico irriverente (Rogen che interpreta Rogen), del ricorso particolare a un elemento scenografico (il pavimento a scacchiera), di una fidanzata rossa di capelli - guarda caso come la Deschanel e miope quanto lei -.


Più che una pellicola confezionata a nuovo il film ci sembra - nella narrazione, nella forma e, come se non bastasse, anche nella composizione dei colori, ovviamente contrastanti nell'inquadratura - un generatore istintivo di parabole e stilemi indie, una storia costruita ad hoc, dove la mdp non esagera mai nei movimenti (risparmiandoci almeno le scelte ruffiane di 500 giorni insieme) e dove l'architettura è perfettamente giocata sulla sfrontatezza e sull'umanità, poste in eguali misure; dove, insomma, l'artificio risulta essere l'unico modo possibile per attivare il meccanismo scenico.
Più maturo di The Wackness, soprattutto a livello di regia che (finalmente) lascia da parte i giochini formali, 50/50 ci riporta però alla tragica definizione del Sundance-film, dove l'estrema puntigliosità della geometria del loser, garbata in ogni sua parte, ci lascia interdetti da una possibile immedesimazione e da una sperata riflessione posteriore.
Il cliché, l'inutile routine e il ricatto, fanno dell'umanesimo della Seattle industriale messo in piedi dal regista, solo una dichiarazione d'intenti non rintracciabile nel risultato finale. Levine, infatti, costruisce forme non modellabili, svuotate e plasmabili solo attraverso la logica produttiva, prodotti in serie commerciabili per un solo destinatario, il pubblico adolescente.
Mirabile l'interpretazione di Anjelica Huston nel ruolo della madre di Adam.