TRAMA
Félix, un ragazzo di 17 anni, riceve un invito su WhatsApp: vuoi giocare alla Blue Whale? Il gioco con le 50 sfide? Quello in cui alla fine devi ucciderti? Félix accetta. È così che incontra Elisa. I due iniziano a completare le sfide insieme. 50 è la storia d’amore di due adolescenti con tendenze suicide che decidono di giocare insieme finché morte non li separi. Mancano solo 6 giorni.
RECENSIONI
L'esordio nel lungometraggio del regista e sceneggiatore messicano Jorge Cuchí (classe 1963, oltre un migliaio di spot pubblicitari realizzati in 25 anni di carriera) è una straziante storia d'amore e morte giovanile, calata all'interno di urgenze profondamente contemporanee e per questo già molto esplorate. La scelta di sguardo è però tutt'altro che scontata: nel raccontare frontalmente quella Blue Whale di cui i genitori di tutto il mondo parlano con apprensione dal 2016 e di cui ancora oggi non si è capita davvero la portata (gioco perverso diffusosi quasi per caso e capace di favorire facilmente fenomeni di emulazione o gigantesco creepypasta la cui pervasività nel discorso quotidiano è dovuta soprattutto a certi sensazionalismi della stampa?), fortunatamente 50 non diventa l'ennesima occasione per riproporre riflessioni ormai stantie sugli abissi etici e i pericoli dei social network. Cuchí infatti riesce ad evitare i paternalismi e le pieghe ammonitorie di un qualsiasi Disconnect e per farlo si abbassa diligentemente al livello dei suoi personaggi, cercando di scandagliarne la dimensione più intima e celata. Cercando di capire, forse, almeno fino a quando non è costretto anche lui a fermarsi e ad alzare la mani (e che brillante soluzione l'ellissi con didascalia durante l'intervista finale: un'improvvisa e inaspettata sferzata di ironia come unica risposta al vuoto e all'impossibilità di giungere a qualsiasi forma di comprensione).
Insomma, la Blue Whale Challenge non come preoccupante fenomeno social(e), ma come lente attraverso cui osservare solitudini e disperazioni invisibili; private certo, eppure intrinsecamente connesse con il sentimento dominante di una generazione che ha ormai interiorizzato l'apocalisse. Inutile allargare il campo: il nichilismo autodistruttivo di Félix ed Elisa non si ferma neppure di fronte all'affetto che provano l'uno per l'altra ed è un baratro la cui eco risuona universale. Anche per questo, 50 non poteva che essere un film di vuoti. Meglio, di assenze; è ovviamente assente una qualsiasi prospettiva futura che esuli dalle logiche della sfida mortale, così come sono assenti gli adulti, figure anonime (benché narrativamente rilevanti) di cui non vediamo mai i volti e che sono ormai vittime di un loop insensato che li porta a fare continuamente le stesse domande, pigre e idiote (dalle materne «Sei stata a scuola?» o «Hai un fidanzato?» fino alle centinaia di questioni poste meccanicamente a Félix dallo psicologo durante l'ultima intervista). Ma 50 è anche e forse soprattutto un film di spazi: l'uso insistito dello split screen nei momenti in cui i due ragazzi sono separati sta lì a ricordarci che, quantunque distanti, Félix ed Elisa condividono perlomeno lo stesso spazio sentimentale. Uno spazio di disperazione e solitudine, certo; uno spazio nerissimo e senza alcuna speranza, pure. Perfino qui, uno spazio d'amore.