
TRAMA
Roberto è un batterista che, durante una colluttazione con un uomo che lo perseguita, accidentalmente lo uccide. Un misterioso uomo mascherato ha fotografato l’evento e uccide le persone intorno a lui.
RECENSIONI
Dario Argento continua nell’originale connubio di giallo e terrore che decretò il successo del suo esordio. L’intreccio e le invenzioni hanno fatto scuola (soprattutto negli Stati Uniti), confermando la nascita di un talento internazionale del genere. Visivamente spesso geniale (più che nei capitoli precedenti, Argento gioca con la macchina da presa e le fantasie compositive, coadiuvato dalla notevole fotografia di Franco Di Giacomo e dal montaggio serrato di Françoise Bonnot, fresca di Oscar per Z - L’orgia del potere di Costa-Gavras), costruzione della paura magistrale (hitchcockiana ma più nevrotica e sfrenata), cadenzata sulle note di Ennio Morricone. Il soggetto porta il contributo del “fanzinaro” critico del fantastico Luigi Cozzi, la sceneggiatura è cinefila (c’è anche la via F. Lang, intervistato da Argento quando faceva il giornalista) ed è nata da una crisi coniugale del regista riflessa nei segreti di coppia (ma i dialoghi non sono granché), il film è allucinato, con incubi che introducono il cinema del maestro nei territori ultraterreni che frequenterà in futuro, con tracce ironiche inedite attraverso i personaggi di Bud Spencer e Oreste Lionello. Il ralenti finale, girato con una cinepresa tedesca da 36mila fotogrammi al secondo, è un portento nella sua spiegazione (fanta)scientifica e fa il paio con la memorabile scena dell’omicidio della cameriera nel parco, ispirata a L’Uomo Leopardo di Jacques Tourneur e Val Lewton.
