Horror

28 GIORNI DOPO

Titolo Originale28 days later
NazioneGran Bretagna/ Olanda/ U.S.A.
Anno Produzione2002
Genere
Durata108'
Sceneggiatura
Montaggio
Scenografia

TRAMA

28 giorni di coma e si risveglia in un’Inghilterra deserta, popolata da (dis)umani dal sangue infetto che gli danno la caccia.

RECENSIONI

È, con tutta evidenza, un compendio-omaggio al cinema di Romero: c’è il virus “rabbioso” di La città verrà distrutta all’alba, virus diffuso tra l’altro da una scimmia (Monkey Shines), e c’è soprattutto e ovviamente un excursus sulla trilogia dei morti del regista americano, che Boyle ripercorre con un puntuale citazionismo cronologico; la prima citazione evidente è un’inquadratura dall’alto su Jim che sale le scale di casa sua per cercare superstiti, che rimanda a un’altra pressoché identica di La notte dei morti viventi (The Night of the Living Dead) in cui la protagonista appena entrata nella casa-fortino va al piano di sopra e trova un cadavere divorato. La successiva tappa, che è anche una fortuita tappa di viaggio dei protagonisti di 28GD in fuga verso Manchester, è quella al supermercato, con le stesse gioiose scorribande tra gli scaffali viste in Zombi (Dawn of the Dead), secondo film della saga richiamato anche, con altrettanta puntualità, nell’episodio del bambino zombi/infetto. La terza e ultima tappa, infine, è quella alla base militare, che costituisce l’approdo finale del film e della trilogia stessa, il cui ultimo capitolo Il giorno degli zombi (Day of the Dead) era interamente ambientato in una base sotterranea presidiata da un manipolo di ottusi soldati. A queste suggestioni romeriane, a cui si potrebbero aggiungere la saggezza guerriera affidata a un personaggio di colore, un certo schematismo nella caratterizzazione dei personaggi e molto altro, se ne affiancano altre di diversa origine come gli echi del Saramago di Cecità, quelli ovvii del filone catastrofico post-qualcosa, con una netta preferenza per L’esercito delle 12 scimmie di Gilliam (e dunque, per la proprietà transitiva, per La jetée di Chris Marker) e non ultimi i rimandi stilistici al Dogmatico realismo sgranato. Danny Boyle ha infatti girato il film interamente in digitale quasi sempre con camera a mano, il che non solo lo distingue nettamente dalla massa delle patinate ed innocue megaproduzioni à la Virus Letale, ma lo immerge, anche a livello tecnico-stilistico, in un’appropriata atmosfera di pericolo, indecisione e precarietà, come se il regista fosse stato in qualche modo “coinvolto” nella diegesi e si fosse trovato a fare la cronaca degli avvenimenti con improvvisati mezzi di fortuna. Per il resto, il senso del ritmo di Boyle, il suo gusto da “esteta della sporcizia” già apprezzato in Trainspotting, l’ironia strisciante, l’assenza di cali di tensione e la recitazione appropriata rendono 28 Giorni Dopo un film decisamente riuscito, che manderà in sollucchero gli amanti di Romero e del Thriller Catastrofico, ma che non è assolutamente esente da difetti, soprattutto a livello di sceneggiatura; molte sono infatti le concessioni all’ “estetica” a scapito della coerenza (la Londra deserta dell’inizio è di sicuro impatto visivo ma perché per le strade non c’è neanche un cadavere?), le forzature funzionali al progredire della storia (quello di Jim di liberare l’infetto nella base per salvare Selena e Hana non è esattamente un piano studiato nei minimi dettagli) e una generale tendenza alla stereotipizzazione (soprattutto nella caratterizzazione dei militari) che però, oltre a rimandare come già detto agli analoghi personaggi di Romero, si alterna in verità a episodi più curati e profondi (bella è la figura del padre di Hana così come riuscito è il ritratto del suo rapporto con la figlia).

Sangue infetto

Danny Boyle è un moralista nichilista, un cinico ottimista, una fotocopia originale ed un originale fotocopiato, una (anti)tesi con il sangue impuro, bollito nell’estetica anni settanta che richiama con il digitale (cita/plagia la serie tv I Sopravvissuti, gli Zombi di Romero, i cadaveri corridori di Incubo sulla Città Contaminata di Lenzi), infettato dal riflusso (di certezze, di stilemi) anni ottanta, esploso come epidemia auto-generata negli anni novanta, evacuato in un’ultima spiaggia (The Beach, stesso sceneggiatore: Alex Garland) e, ora, alfiere di un new-horror americano d’antan che rievoca da buon manierista, griffandolo con poco opportuni vezzi colorati (i filtri, i fiori dipinti) e coloriti (l’idillio new age della famiglia ricomposta con papà Robinson Crusoe, il valium e i cavalli selvaggi). La stasi silente (calma piatta in tutti i sensi) prepara all’adrenalina dello splatter ed ai colpi bassi del sonoro (l’allarme d’auto), e la follia non risparmia nessuno, voce di quella rabbia che ammanta di anarchia le sue opere, ma in assenza di grottesco macabro a freddare gli animi (sostituito da un umorismo di grana grossa) e di cinismo. Lo script, fin dalla prima scena, suggerisce che l’epidemia è frutto dell’odio nel mondo (la scimmia dell’Arancia Meccanica è “imbottita” di filmati di rivolta) e vuole sostituire la parola “aiuto” (help) con “helo” (hello) e “hope” (speranza) in contraddizione con le propensioni nichiliste post-apocalittiche di Boyle che, come altrove, resta ambiguo, dice, non dice, sottolinea e nega fino a esautorare i concetti. Esempi a seguire: mentre il malato cielo giallo osserva i “sani” agitarsi in una strabiliante (già vista) Londra The Day After e gli “infetti” accalcarsi in chiesa (?), L’Ultimo Uomo della Terra si risveglia nell’apocalisse “paradossalmente” promossa da chi voleva evitarla (gli antivivisezionisti), incontra la pantera nera allevata nella legge della giungla, in nome del Sogno che ci distingue dagli animali le reinsegna ad amare e soffrire, fino a replicare quel circolo vizioso di odio (che enunciato fumoso!) che l’esercito della salvezza, in nome dell’Utopia, serve pericolosamente. La tensione scricchiola balorda (le gocce del corvo, il cuoco effeminato?) nel nonsense (il tunnel dell’orrore e il cheeseburger a tutti i costi?) e non si sa più quali siano le Vittime di Guerra, se è giusto sopravvivere a tutti i costi o scomparire, se c’è futuro oppure no. Il protagonista diventa Rambo (…), diffonde l’epidemia a fin di bene (?), tutti diventano morti viventi, fantasmi di un’allegoria opaca apparecchiata da una regia in(f)etta.