TRAMA
Un genietto dell’MIT sogna di andare ad Harvard ma non ha i soldi per farlo. Decide quindi di unirsi alla squadra di cervelloni che, sotto la guida del professor Micky Rosa, provano a sbancare i casino di Las Vegas.
RECENSIONI
Chiunque abbia frequentato, anche solo occasionalmente, il rispettabilissimo sottogenere hollywoodiano dei gambling movies sa bene che il trucco ingegnoso è innesco drammatico assai più efficace della suspense del gioco in sé. Sia capolavori del genere (come La stangata di George Roy Hill, con la trovata delle corse dei cavalli "in differita" - o Il colore dei soldi di Scorsese, che insegna a mostrarsi imbranati per ripulire il malcapitato), sia meri inserti occasionali in pellicole di altro taglio e tematica (si pensi alla celebre sequenza del black jack in Rain Man di Barry Levinson) vincono attenzione e attese dello spettatore con l’attuazione di congegni ingannevoli capaci di far arricchire al gioco. Il trucco può andare dalla mera simulazione tattica alla vera e propria truffa in grande stile, ma il sogno proibito delle masse resta quello di vincere contro il banco, sbancare il casinò di lusso, battere Las Vegas. Vegas, con la sua opulenza pacchiana e scintillante assediata dal deserto, è riassunto radicale e cinico dell’American Dream [1]; ma anche la sua più spietata negazione: nessun bravo padre di famiglia americano, pragmatico e giudizioso, può sfondare nei casinò della Strip - il sistema, invincibile, schiaccia tutti. Ecco che il colpo di genio, il trucco, la trovata d’ingegno si ritrovano a dover redimere l’imbarazzante frustrazione dell’uomo comune: si può battere Vegas? Gli esperti dicono di sì (c’è tutta una copiosa letteratura tecnica sul tema) [2] e se ti ritrovi ad essere un mago dei numeri puoi tentare l’impresa al tavolo del black jack. 21, prodotto d’intrattenimento un tantino insipido, costruisce il suo successo commerciale (sessantadue milioni di dollari d’incasso in meno di tre settimane) titillando siffatta fantasia viscerale nel modo più sfrontato (il plot è ispirato a vicende realmente accadute), annuendo all’ansia delle famiglie americane per i costi universitari, abbozzando qualche stereotipo su amicizia, formazione e bravi ragazzi tentati (e guastati) dal fascino perverso del denaro. Insomma: Ben (Sturgess) è un nerd che sogna di andare ad Harvard, ma non può permetterselo. La sua vita è fatta di libri, lavoretti part-time, concorsi di scienza e castigati passatempi coi suoi due migliori amici, ancora più nerd di lui. Nonostante il suo brillantissimo curriculum, le porte del prestigioso ateneo sembrano sbarrate, finchè il ragazzo non s’imbatte nel mefistefolico professor Rosa (Spacey) che allena le migliori menti del MIT a stravincere al black jack. La tecnica di Rosa (che ricalca quella effettivamente messa in atto dall’MIT Black Jack Team negli anni novanta e raccontata da Mezrich nel suo fortunato reportage romanzesco [3]) non ha nulla di veramente illegale: si tratta di matematica che richiede un’ottima e veloce memoria (il fulcro del trucco è “contare le carte”), nervi saldi e mente versatile [4]. Vinti i temporanei scrupoli morali, Ben entra nel team di Rosa e nel favoloso mondo del gioco d’azzardo. Suite extra-lusso, limousine, champagne, meravigliose ragazze in bikini, amori prima neppure immaginabili, centinaia di migliaia di dollari nascosti in un buco nella sua stanzetta all’MIT: il secchione Ben è prima rintronato dalla metamorfosi, poi avvelenato dalla hybris, infine pesantemente punito per i suoi errori. I nodi vengono al pettine, i veri cattivi hanno quel che si meritano e i buoni, momentaneamente traviati da una babele peccaminosa, ritrovano la retta via e sono premiati per l’insegnamento tratto dalle loro disavventure. Tutto scorre come previsto, ma con piattezza. Personaggi scialbi a una dimensione, script qua e là poco coerente, interpretazioni monocordi. Il ritmo è un po’ più che decente. Complice una regia senza inventiva, 21 ci offre un’intera teoria di luoghi comuni da prendere per come vengono: il genietto timido che stupisce il prof istrione nell’affollata aula universitaria [5], la mamma affettuosa che risparmia tutta la vita per mandare il figlio all’università, gli amici che non riconoscono più il loro sodale stravolto dalla febbre arrogante della dolce vita, le sventagliate luccicose della macchina da presa tra i tavoli da gioco, lo shopping montage da Gucci a Luis Vuitton a rappresentare l’inizio del successo. Obbligatorio l’omaggio allo Scorsese di Casinò (dollari che volano); insolito (forse involontario) quello al Wong Kar-wai di Hong Kong Express (Sturgess in piano americano super-rallentato, sullo sfondo la vita frenetica scorre a velocità supersonica). Filmetto mediocre, intrattenimento un po’ più che passabile (se non si è del tutto alieni dall’ebbrezza del tavolo verde).
