TRAMA
un allineamento d’astri.l’alba dell’uomo. il monolito nero. l’osso spaziale. il valzer d’attracco. il monolito. l’alba sibilante. 18 mesi dopo: in missione verso Giove. un occhio rosso suadente. una corsa in centrifuga. follia e morte di HAL 9000. Giove e oltre l’infinito. il monolito. luci sul casco di Dave Bowman. bianca stanza in stile Reggenza. invecchiamento tra sguardi. il monolito. il feto astrale, i suoi occhi.
RECENSIONI
Kubrick rivoluziona il genere fantascienza: a livello tecnico, grazie a maghi degli effetti speciali quali Douglas Trumbull (per gli sfondi e la Porta delle Stelle), Tom Howard (effetti ottici) e Wally Veevers (i modellini), immaginando un futuro (con la consulenza di N.A.S.A., IBM, General Electric, Chrysler e Rca: li allettò inventando il product placement) talmente possibile-realistico da restare iconograficamente insuperato; a livello tematico, facendolo entrare in un’accezione adulta e autorale, metafisica e filosofica che non ha precedenti (come disse Clarke, un film sulla relazione tra l’uomo e l’universo). Ma compone anche un capolavoro del Cinema, in quanto non esiste sulla Terra di Celluloide altra opera altrettanto enigmatica e al contempo intellegibile, cioè, potenzialmente, interpretabile in decine di modi grazie ai simbolismi e gli eventi straordinari che descrive. Il romanzo “Le guide del Tramonto” (The Sentinel) di Arthur C. Clarke (scritto nel 1948, suo un primo adattamento per Kubrick nel 1965) non è altrettanto magistrale e cavalca la teoria di Charles Fort e Olaf Stapleton sull’origine aliena della razza umana (infatti, nella pagina scritta, il monolite era una piramide): Kubrick lo trasforma in un trattato esistenziale sul “Chi sono? Da dove vengo? Dove Vado?” che lascia attoniti, con la mente chiusa (per suoi limiti) e immaginazione pilotata dal Terzo Occhio alla ricerca di Dio. Non si va alla scoperta di nuovi mondi ma dell’Io interiore, attraverso tre milioni di anni di Storia. È, praticamente, una pellicola muta, antinarrativa, raccontata con sguardo distaccato, con recitazioni naturalistiche, piglio quasi documentaristico ma al contempo lisergico, visionario (ispirazione per le scene finali: gli allucinogeni), un’esperienza che vuole comunicare al subconscio e non all’intelletto: Kubrick la gira in 70 millimetri Superpanavision, con suono stereofonico, per esaltare lo Spazio e le musiche sinfoniche (il “Bel Danubio blu” di Strauss mentre le astronavi si muovono) che rendono quello umano (e della Scienza fallace) un balletto con la Storia. Se è un’Odissea, allora il computer Hal 9000, con un solo occhio, è Polifemo (il nome è un acronimo delle parole euristico e algoritmico). La (possibile) chiave di lettura per il finale dove Bowman regredisce all’infanzia, ci proviene da Clarke stesso: “È l’immagine di se stesso a questo stadio di sviluppo. E forse la coscienza cosmica ha il senso dell’umorismo”.