Spionaggio

007 – LA MORTE PUÒ ATTENDERE

TRAMA

Tradito e catturato dai coreani del nord, James Bond, una volta liberato con licenza d’uccidere revocata, medita vendetta e sospetta di un inglese che commercia in diamanti.

RECENSIONI

La longeva spia inglese festeggia i quarant’anni di attività, sceglie un titolo augurale ma seleziona una bond-girl che porta iella (Jinx). Come i villain di turno (inquietante “Zao”, stonato il Graves di Toby Stephens), tenta di modificare il proprio Dna pur rimanendo se stesso. Nell’Isola Perduta cubana, però, l’Operazione Diabolica non riesce: dal lettino operatorio s’alza il mostro di Frankenstein, un’accozzaglia di brandelli altrui (non un omaggio ai suoi predecessori) che getta fumo negli occhi con effetti speciali, esplosioni, gadget e sponsor a non finire. Ci sono la licenza revocata di Vendetta Privata (era Timothy Dalton), l’arma spaziale e Una Cascata di Diamanti, il corpo mozzafiato di Halle Berry come quello di Ursula Andress in Licenza di Uccidere, la bond-car per eccellenza (debordante di accessori fracassoni) e il libro “Birds of the West Indies”, quello da cui Ian Fleming ha preso a prestito il nome dell’autore (James Bond). In gara con il blockbuster hollywoodiano tutto muscoli e niente cervello, il revue scambia i classici del passato con i materiali deperibili dei loro gadgets, incurante di uno humour ammuffito (dei doppi sensi non se ne salva nessuno) e di una trama scomposta. Il computer elenca paesi e sport estremi che mancano alla collezione del superuomo (Cuba, Islanda, hovercraft, scherma e un improponibile, mal celato dal trucco, windsurf sul maremoto), chiama all’appello un’auto invisibile e condisce la mancanza d’idee con uno “sparatutto” da videogame. Chiude in bruttezza l’accensione in picchiata di un elicottero. Esteriore e deteriore, gioca di accumulo dimenticando la classe, i personaggi, la seduzione (il playboy-Bond è pedestre e retrogrado). La morte, nell’attesa, riguarda l’avvincente e spassoso Il Mondo non Basta, si compiace di una sceneggiatura ed una regia con un po’ di sale in zucca (era tanto difficile giocare di tensione con l’agente solo contro tutti, con il mistero sull’identità di Graves, con il conflitto padre/figlio nordcoreani?) e mangia l’anima di Tamahori che, una volta, era un guerriero. Da salvare: la gag del sacco umano preso a calci; i titoli di testa di fuoco e ghiaccio che, per una volta, sono diegetici alla tortura di Bond; il tuffo abissale all’indietro della Berry; la spettacolarità del raggio laser che spacca i ghiacci; l’agente Frost, frigida nel tempio di ghiaccio che userà l’arma fredda più micidiale: il sesso. Se Madonna (cameo in mise fetish) canta “Die another day”, viene da ribattezzare il film come Adrenalinomane Autoreclamizzante, l’epiteto affibbiato a Graves dai suoi detrattori.